La resilienza del Toro e una recessione per settori è ciò che ci aspetta?

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Il 2023 continua rivelarsi un anno caratterizzato da un andamento bonario per i mercati finanziari in genere.

Anche agosto non è sfuggito a questo mood, considerando che, nonostante sia avvenuta una correzione sull’equity internazionale nei primi 20 giorni del mese (e che ad un certo punto aveva anche assunto dimensioni interessanti intorno al 5 / 6 %) alla fine si è rivelata di entità modesta considerando il rimbalzo degli ultimi giorni, generato peraltro dalle dichiarazioni di Powell a Jackson Hole.

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È come se il mercato avesse letto nelle parole dell’attempato banchiere centrale qualcosa di particolarmente accomodante. In realtà, pur non avendo assunto toni particolarmente aggressivi come lo scorso anno, Jay Powell ha semplicemente ribadito la volontà di sconfiggere l’inflazione (confermandone il target al 2%) muovendosi con cautela ma senza escludere a priori ulteriori rialzi nel corso dell’anno.

L’economia americana, da una parte, si è dimostrata sicuramente più resiliente di quanto ci si aspettasse non essendosi “raffreddata” come ci si attendeva come conseguenza dei rialzi dei tassi operati, dall’altra tuttavia rimane l’incertezza sui tempi di ricaduta che questi manifestano sul ciclo economico.

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Direi quindi un intervento neutrale, eppure quest’anno le notizie tendono ad essere interpretate positivamente anche quando sono di direzione opposta.

Prendiamo per esempio il recente dato sui ” job openings” di luglio che hanno sicuramente deluso le attese, segnando il minimo da gennaio 2021.

Il calo anno su anno è del 22%, e anche il mese di giugno è stato rivisto decisamente al ribasso, numeri quindi che mostrano che il mercato del lavoro comincia a indebolirsi e che sono stati anche apparentemente confermati dalla notizia del primo settembre sulla disoccupazione americana in salita al 3.8 %.

Ebbene, i mercati hanno festeggiato questi dati con dei rialzi copiosi (in particolare nella giornata del 29 agosto) per il settore azionario con il Nasdaq sugli scudi, mentre i prezzi dei bond sono saliti per effetto dei rendimenti in discesa.

Reazioni che si vedono di solito dopo bear market profondi e non certo a seguito di piccole correzioni come quella vista in agosto.

Bisogna poi tenere in considerazione anche quanto accaduto negli altri mercati mondiali, che non hanno fatto certo da supporto al sentiment generale.

In Cina, i problemi legati all’immobiliare sono deflagrati nuovamente, mostrando ormai tutte le lacune di un’economia chiaramente sbilanciata sul debito e sull’eccesso di offerta creata ad hoc dal governo, che adesso sarà costretto a stimolare in maniera pesante sia la ripresa dei consumi che il sostegno dei corsi azionari, mentre in Europa il PMI pubblicato in agosto ha mostrato un chiaro indebolimento nei servizi.

Per tutti questi motivi rimango da un lato scettico sul fatto che nel breve il mercato possa salire ancora, ma dall’altro lato mi stupisce quanta forza abbiano ancora gli indici di fronte a tutte queste notizie negative.

Forse ha ragione un amico e collega, che gestisce un piccolo hedge fund con approccio macro discrezionale, secondo il quale il paradigma è cambiato: le recessioni d’ora in poi saranno settoriali e avverranno in tempi diversi mentre la FED riuscirà a rendere non eccessivo il conto da pagare sia per la Wall che la Main Street.

Rimane però il fatto che il premio per il rischio delle azioni americane sia al livello più basso dal 2007 e che lo Standard and Poor’s, con qualunque metrica lo si valuti, rimanga su livelli storicamente molto più alti della media.

Un altro indicatore non particolarmente ” simpatico ” sempre relativo all’indice delle 500 maggiori società a stelle e strisce è la percentuale di società oggetto di buyback pari al 29%, livelli che non si vedevano dal 2007 e vicini a quelli del 2000.

Come sappiamo bene, quando i tassi sono bassi è più facile per i CFO delle aziende destinare parte del cash flow all’aumento degli utili diminuendo il flottante, cosa ben diversa quando il costo del debito si alza notevolmente e ci si deve andare a rifinanziare sul mercato a tassi più elevati.

Se qualche mese fa avevo paragonato il contesto del momento ad una partita di tennis molto equilibrato, adesso potrebbe sembrare il match finale di ” Rocky 2 ” dove il protagonista, dopo averle prese per tutto il tempo, alla fine riesce a reagire e, menando solo per una ripresa, vince, alzandosi una frazione di secondo prima di Apollo Creed.

Chi dei due pugili sia il toro e chi l’orso, lo lascio alla vostra libera interpretazione.