Il conflitto russo-ucraino. Le cause remote. Intervista a Giampaolo Berni Ferretti

Marco Rosichini -

Intervista a Giampaolo Berni Ferretti consigliere del Municipio 1 di Milano

— di Marco Rosichini — 

L’Avvocato Berni Ferretti spiega le ragioni culturali che a suo parere stanno alla base dell’attuale conflitto. Il consigliere del Municipio 1 di Milano individua nella mancata realizzazione del monito di Giovanni Paolo II (Una frontiera per l’Europa?) il mancato raggiungimento di una partnership stabile e matura tra l’Europa e la Russia. Queste, accomunate dalla medesima radice cristiana, hanno perso l’occasione di “fondersi” in unico fronte geografico, religioso e culturale che superasse, ma allo stesso tempo preservasse, i caratteri di particolarità.

Avvocato Berni Ferretti, il conflitto russo-ucraino sembra non arrestarsi. Da uomo di cultura liberale, quale ritiene siano le cause di questo conflitto?

Credo che la drammaticità della situazione debba tenere conto delle variabili storiche che, nel dibattito pubblico sempre più polarizzato, non vengono prese in considerazione. Da sincero atlantista ed europeista non condivido le critiche verso la NATO la quale, parallelamente all’Unione Europea, ha acconsentito nel corso degli ultimi anni all’ingresso di Paesi ex sovietici che declamavano con forza la volontà di adesione al modello della democrazia liberale e all’economia di mercato. Mi concentrerei piuttosto sui fattori religiosi e culturali che non hanno avuto il giusto peso nell’analisi dell’attuale situazione.

Ovvero?

L’Europa delle cattedrali

Il progetto di “Casa comune europea“ promosso da Gorbaciov, in stretta connessione con il Pontefice Giovanni Paolo II, simboleggiava la volontà di stabilire ponti tra la cultura russa e quella europea, ambedue accomunate dalla cristianità. L’Europa, secondo una celebre massima, finisce laddove ci sono le sue cattedrali e la Russia è geograficamente e culturalmente parte dell’Europa della cristianità. Questo elemento sembra oggi perduto e in ciò risiede la vera ratio del conflitto.

L’impostazione liberale, opportunamente revisionata dal punto di vista ideologico e programmatico, deve avere come suo punto nevralgico proprio l’Europa. In primis un’Europa che recuperi il progetto di “Casa comune europea”, e quindi l’ancoraggio e l’appartenenza della Russia (e dell’Ucraina) all’Europa. In tal senso il monito di Giovanni Paolo II del 1978 sulla comune appartenenza geografica e culturale della Russia all’Europa è oggi di vibrante attualità. Un ‘Europa che sia concettualmente delimitata dalle sue cattedrali, e quindi dalla sua cultura cristiana (“L’Europa o cristianità”) e che sappia confrontarsi e progredire in un mondo in cui lo Stato nazionale non sembra più in grado di svolgere efficacemente quella funzione di incubatore dei diritti dei cittadini in vista del benessere, individuale e sociale. Da questo punto di vista lo Stato deve riformare profondamente sé stesso, soprattutto nei settori della burocrazia e della giustizia dove gli ideali di un “liberalismo emancipatorio” fanno fatica ad affermarsi.

‘L’Europa dall’Atlantico agli Urali’: il Generale De Gaulle aveva in mente un progetto per il dopo-Yalta, per ancorare la Russia alla civiltà occidentale e risolvere la questione tedesca. Ma esso esprimeva anche un rimpianto per il ‘concerto delle nazioni’.

C’è stata quindi una cecità europea ed americana di fronte al riformismo di Gorbaciov in politica estera?

In un certo senso sì. La chiusura pregiudiziale ha impedito l’estensione della frontiera dell’Europa cristiana fino agli Urali. È sotto gli occhi di tutti, col senno del poi, che il tentativo introdotto da Gorbaciov fosse più aperturista e dialogante rispetto all’atteggiamento anti-multilaterale che mostra oggi Putin. Rispetto a ciò è necessario fare una doverosa autocritica: i liberali, per loro natura antidogmatici, devono prendere atto che questa situazione può essere risollevata proponendo nuovi schemi e riaffermando i valori di un liberalismo intrinsecamente cristiano.

Quale funzione devono assolvere oggi i liberali in politica estera?

Gli intendimenti kantiani della pace perpetua non sono superati, anzi. Bisogna riprendere la dottrina liberale classica di realizzazione di un mondo sempre più libero, pacifico e democratico partendo dalla valorizzazione di ciò che ci unisce. Da questo punto di vista il cristianesimo rappresenta un collante fortissimo che deve essere proiettato sulla scena politica internazionale.

La democrazia per sopravvivere deve quindi riscoprirsi cattolica e liberale?

Le rispondo attraverso una famosa formulazione di Lord Acton ”quella di un uomo che ha iniziato la sua vita credendosi un autentico cattolico e un autentico liberale, e che perciò ha rinunciato a ogni cosa che nel cattolicesimo non fosse compatibile con la libertà e a ogni cosa che in politica non fosse compatibile con il cattolicesimo”

La questione energetica rimane, tuttavia, ancora in gioco

La questione del gas è complessa e sicuramente la dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia rappresenta un grande elemento di debolezza anche in considerazione del fatto che Putin, in un atto di ritorsione contro le sanzioni, ha dichiarato guerra all’ordine multilaterale occidentale. A tal proposito ritengo sia giusto e doveroso perseguire la strategia che Mattei implementò negli anni ’60: una diversificazione delle fonti coniugata con accordi bilaterali diretti tra produttori e consumatori. L’Unione Europea lo sta già facendo e noi dobbiamo continuare a perseguire questa rotta che gradualmente porterà alla sostituzione del gas con l’energia elettrica. In questo la politica deve assumere una grande responsabilità nella modernizzazione energetica del Paese.