I risparmiatori italiani sono alla ricerca di sicurezza

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E’ stata presentata la Indagine annuale sul risparmio e le scelte finanziarie degli italiani 2022 di Centro Einaudi-Intesa Sanpaolo-Doxa.

Tra le principali evidenze emerge come la percentuale dei risparmiatori si riporta verso i livelli pre-pandemia, attestandosi al 53,5% (55,1% nel 2019), in netto aumento rispetto al dato 2021, che vedeva i risparmiatori ridotti al 48,6% del totale.

La quota varia però sensibilmente tra i diversi gruppi del campione. Riesce ad accantonare risorse il 68% dei laureati, contro meno del 50% di chi ha un’istruzione media inferiore. Risparmia il 69% di chi ha un reddito netto mensile maggiore di 2.500 euro, ma solo il 36% di chi non arriva ai 1.600 euro. Differenze analoghe emergono tra chi ha una casa di proprietà (risparmia il 60%) o in affitto (34%) e tra le famiglie con più redditi (69%) e quelle monoreddito (47%

Altro dato positivo che emerge dal campionamento 2022 è l’aumento dell’intensità di risparmio, ossia della percentuale di reddito che gli intervistati riescono ad accantonare. In media, il dato si attesta nel 2022 all’11,5%, in crescita rispetto al 10,9% del 2021 e non lontano dai livelli pre-pandemia (12,6%). Solo una quota minoritaria degli intervistati (17% del campione) dichiara di accantonare risorse avendo in mente uno scopo preciso (sono i cosiddetti risparmiatori “intenzionali”); il 30% circa lo fa invece per ragioni puramente precauzionali.

La sicurezza si conferma al primo posto per gli intervistati tra le caratteristiche degli investimenti: è l’aspetto da privilegiare per il 57% del campione. L’80,4% la colloca al primo o secondo posto tra gli elementi cui prestare attenzione nel decidere un investimento, seguita dalla liquidità (49,7

A ridosso dell’anno 2000, le due maggiori preoccupazioni nel processo di investimento erano scegliere quando investire (il cd. timing, ora al secondo posto, indicato dal 42,5% del campione) e come suddividere il risparmio (l’asset allocation, oggi al terzo posto, 31% del campione). Nel 2022, timing e asset allocation lasciano il primo posto alla valutazione del rischio delle soluzioni di investimento (52,9%).

In un periodo di forte volatilità, la paura di perdere il denaro può aver favorito questo passaggio; l’emergere della percezione che ogni investimento comporta l’assunzione di un rischio, da conoscere prima di investire, è comunque un segno di maturità da parte degli investitori. Nell’anno dell’aumento dei tassi, l’Indagine segnala la riduzione della quota investita in obbligazioni, dal 29% al 23% dei portafogli. Dichiara di aver operato in obbligazioni in 26% del campione, mentre il grado di soddisfazione per questi strumenti (misurato dal rapporto tra il numero di obbligazionisti soddisfatti vs. insoddisfatti) scende a 3,1 (era 3,8 nell’Indagine 2021), con punte però a 8,7 tra i residenti nel Nord-Est, a 4,3 per gli ultra-65enni e tra 5 e 6 per i risparmiatori con propensione al rischio media o medio/alta.

E’ il risparmio gestito a fare “la parte del leone” tra gli investimenti: la quota dei possessori di fondi e sicav aumenta infatti al 17,3%, dal 12,4% del 2021. Almeno una forma di risparmio gestito entra nel 21% dei portafogli del campione, con una marcata differenziazione territoriale, che va dal 41% del Nord-Est al 4,9% del Sud-Isole. Si sottoscrive il risparmio gestito per fruire dell’esperienza dei gestori (50%) e per diversificare (31%); assai meno per speculare (22%). Il rapporto tra soddisfatti e insoddisfatti (9,3 a 1) è il migliore tra le diverse classi di investimento. Risulta contenuta la quota di chi ha operato in azioni nei 12 mesi precedenti il campionamento, anche se sale un poco, dal 3,9% al 4,8%. L’indice di soddisfazione per le azioni si porta al massimo storico di 6,5 soddisfatti per un insoddisfatto; sale a 2,4 da 2,1 il rapporto tra scelte consigliate e autonome

Crescono la domanda e anche il consumo effettivo di consulenza finanziaria: si investe sempre meno con il “fai da te”. Con le classi di investimento tradizionali in difficoltà a mantenere i rendimenti in linea con quelli storici, aumenta l’interesse degli intervistati per gli investimenti alternativi. Li guarda con attenzione il 39% del campione, in netta salita rispetto al 2021 (27,7%). In prima posizione si conferma l’oro (24,8%), tradizionale bene rifugio, ma è da notare anche l’interesse raccolto dai fondi etici e dagli impieghi ESG (12,9% del campione, che sale oltre il 22% tra i laureati); al terzo posto si collocano le rischiose criptovalute (9,5%). Nel 2021 è continuata la «pioggia di liquidità» sul sistema economico: rispetto a prima della pandemia, i depositi delle famiglie consumatrici sono cresciuti del 13%, pari a 135 miliardi. L’Indagine segnala il persistere della tendenza a detenere saldi liquidi in eccesso per motivi precauzionali: il rapporto tra il denaro mantenuto liquido per precauzione e quello destinato ai normali pagamenti è di 0,8 a 1 (prima della pandemia era di 0,4 a 1). L’inflazione dodici mesi fa però non c’era: pagare la “tassa da inflazione” per tutelare il valore del denaro dal rischio di investirlo con rendimenti negativi è diventato oggi estremamente oneroso. Il dubbio comincia probabilmente a farsi strada anche tra gli intervistati: si riduce infatti la ratio di soddisfazione relativo alla detenzione di liquidità (da 18 a 14,8).

Per quanto concerne la previdenza, gli intervistati appaiono relativamente sereni sul proprio tenore di vita quando raggiungeranno l’età anziana; il merito di tale serenità è in gran parte ascrivibile al sistema previdenziale pubblico. Tuttavia, solo il 26,6% ritiene che si debba alzare l’età di pensionamento se aumenta la vita attesa: molti accetterebbero una pensione inferiore in cambio della libertà di uscita. Cresce nel campione la quota di chi ha sottoscritto una forma pensionistica integrativa, pur mantenendosi su valori piuttosto bassi (17,6%, da 12,6% nel 2021); percentuali maggiori di adesione caratterizzano le fasce centrali di età (22,4% tra i 35-44enni e 23,1% tra i 45-54enni).

Ancora limitata risulta la diffusione delle polizze long-term care (LTC), soprattutto tra i più giovani (10,4%). Bassa anche la presenza di assicurazioni per altre tipologie di rischio: ha una polizza sanitaria solo il 16,9% del campione, mentre la Responsabilità Civile (RC) personale o della famiglia copre rispettivamente poco più di un soggetto su 12 e su 10. Se è senza dubbio utile pensare a soluzioni che riducano la difficoltà economica di accesso, forse è ancora più importante la promozione di una cultura dell’assicurazione, che passi attraverso una chiara comprensione dell’entità dei possibili rischi e delle soluzioni che il mercato può offrire.