L’investimento delle famiglie in criptoattività
Le criptoattività sono attività digitali che possono essere conservate e trasferite elettronicamente attraverso l’uso di registri crittografati. Diviene allora importante, considerando i potenziali rischi connessi alla diffusione di questi strumenti , seguire con attenzione gli sviluppi del mercato e introdurre a livello sovranazionale modifiche regolamentari per tutelare gli utenti e preservare la stabilità del sistema finanziario. Lo sottolinea la Banca d’Italia in un interessante approfondimento contenuto nell’ultimo Bollettino economico.
Negli ultimi anni l’interesse verso queste attività da parte delle famiglie è cresciuto a livello globale, anche se in modo eterogeneo tra paesi. Negli Stati Uniti, dove il ricorso a tali strumenti è stato più ampio, il 12 per cento degli individui adulti ha dichiarato di avere utilizzato o detenuto criptoattività nel 2021; nel complesso dell’area dell’euro la quota di possessori nel 2022 è stimata pari al 4 per cento. Per valutare l’entità del fenomeno nel nostro Paese sono state inserite alcune domande specifiche in un sondaggio sperimentale condotto dalla Banca d’Italia presso 1.700 famiglie tra giugno e luglio del 2022.
I quesiti chiedevano alla persona di riferimento della famiglia, ossia il principale responsabile e/o la persona maggiormente informata sull’economia familiare, se alla fine del 2021 all’interno del suo nucleo qualcuno possedesse criptoattività e, in caso di risposta affermativa, per quale ammontare, definito entro determinati intervalli. Sulla base dei dati raccolti, il 2,2 per cento delle famiglie italiane deteneva criptoattività.
Il valore è in linea con quello calcolato dalla BCE su un campione di circa 3.000 cittadini italiani intervistati tra marzo e maggio del 2022. Analogamente a quanto avviene per le attività finanziarie tradizionali, la quota di possessori è più elevata tra i nuclei abbienti: si passa dal 4,3 per cento delle famiglie nel quartile più elevato della distribuzione del reddito a meno dell’1 per cento di quelle nel secondo quartile.
La diffusione di criptoattività è inoltre maggiore tra i più giovani (5,7 per cento delle famiglie in cui il soggetto rispondente ha meno di 45 anni, a fronte dello 0,2 per cento della fascia più anziana; figura A, pannello b), plausibilmente in connessione con un maggiore utilizzo degli strumenti informatici. La percentuale è più alta tra i liberi professionisti e gli altri lavoratori autonomi (6,7 per cento; figura A, pannello c); sale al 19 per cento tra i soggetti meno avversi al rischio . L’ammontare di criptoattività detenute dalle famiglie è limitato: due terzi dei nuclei hanno riportato di possederne fino a 5.000 euro, mentre solo l’11 per cento ha dichiarato importi superiori a 30.000 euro.