Assicurazioni e Big Data

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I big data hanno un’accezione più estesa rispetto agli advanced analytics di grandi fonti di dati già disponibili ma non utilizzate per carenze di capacità tecnologiche e metodologiche. Si riferiscono ad informazioni di qualunque tipo acquisite con qualsiasi strumento, da quelli tradizionali a quelli più innovativi, quali ad esempio i social network. Lo sottolinea l’Ivass in un recente intervento ad un interessante convegno su Assicurazioni e big data presso la SDA Bocconi School of Management.

Il concetto di big data si basa infatti sulle cosiddette “3V” che si riferiscono a volume, velocità e varietà, ad intendere che si parla di una gran quantità di dati, strutturati e non, generati con alta frequenza e con un formato sovente non strutturato. Un esempio del cambiamento ma anche della complessità che introduce l’utilizzo di big data viene da alcune esperienze avanzate del settore agricolo. Oggi tra le nuove applicazioni della tecnologia figurano l’utilizzo congiunto della geo-localizzazione dei terreni; l’acquisizione nel continuo di dati meteoclimatici; la rilevazione di dati fenologici mediante sensori digitali: dai pochi dati sinora utilizzati per stimare il rischio in agricoltura ad una matrice tridimensionale di informazioni in tempo reale.

Andando al settore assicurativo si sottolinea come una prima promessa è quella di ridurre se non eliminare le inefficienze generate dalle asimmetrie informative. Nei mercati in cui l’assicurazione è obbligatoria, ad esempio la r.c. auto, è verosimile che le poche variabili tradizionalmente utilizzate per definire il premio (ad esempio: età, provincia di residenza, caratteristiche del veicolo) non siano sufficienti a misurare il rischio individuale.

La conseguenza in questo caso è una redistribuzione dei premi tra assicurati che può non essere desiderabile. Nei mercati in cui l’assicurazione non è obbligatoria (la r.c., le assicurazioni contro i rischi catastrofali) le conseguenze delle asimmetrie informative, in particolare l’adverse selection, possono essere tali da non permettere lo sviluppo del mercato lasciando prive di copertura ampie fasce della popolazione potenzialmente interessate a stipulare contratti con premi “attuarialmente equi”.

Nel momento in cui gli assicuratori dispongono di molte nuove e ricche variabili sul rischio individuale – nel caso della assicurazione auto la velocità, la distanza percorsa e molteplici ulteriori informazioni sugli stili di guida – la chimera del premio attuarialmente equo, un paio di decadi fa pura teoria, si avvicina. La seconda promessa è l’efficienza dei risarcimenti. I big data hanno rivelato uno straordinario potenziale al fine di valutare l’entità del danno in tempo reale: nella r.c. auto attraverso tecniche di machine learning (ML) con l’utilizzo di foto scattate dall’assicurato e informazioni sulle caratteristiche del veicolo è oggi possibile ricevere un risarcimento “giusto” a poche ore dal verificarsi di un sinistro, la real time indemnification, riducendo in modo drastico i tempi di liquidazione. Guardando oltre la r.c. auto, i dati utilizzati per la telemedicina sono potenzialmente utili per ridurre i costi delle cure mediche, per decidere diagnosi e terapie e per mitigare i rischi della non autosufficienza (LTC).

La terza promessa, forse la più avveniristica: l’assicurazione degli stili di vita e il bundling dei rischi. La possibilità di osservare le abitudini di vita di ciascuno, connettendo informazioni rilevate da più fonti e device (il tragitto percorso per recarsi al lavoro, l’utilizzo del car sharing, la frequenza dei viaggi in aereo, il tempo dedicato all’esercizio fisico) permetterebbe di offrire un pacchetto assicurativo che copra in modo proporzionale ciascun rischio. Il bundling di rischi eterogenei può favorire la ricerca di soluzioni più convenienti in grado di coprire anche (micro) eventi spesso non singolarmente assicurabili.

Si sottolinea poi come in assenza di pricing personalizzato i soggetti meno rischiosi non sono potenzialmente disposti ad assicurarsi perché il premio che dovrebbero pagare eccede il loro rischio. Quando invece i big data vengono utilizzati per personalizzare il premio il pericolo della non assicurazione riguarda i soggetti più rischiosi. In ambo i casi la sotto-assicurazione è un’ipotesi reale, e il bilanciamento tra due esigenze di fatto contrapposte – solidarietà vs pricing “efficiente” – appare complesso.

Quali sono poi i pericoli dell’utilizzo dei big data? Quattro sono gli aspetti piuttosto controversi, vale a dire la trasparenza dei contratti, gli effetti anti-competitivi (in particolare i fenomeni di lock-in), lo stravolgimento delle caratteristiche dell’auto-selezione anche (ma non solo) in funzione del ruolo che può assumere la privacy, e la crescente complessità dell’attività di vigilanza. Sebbene il ricorso ai big data per definire un’offerta assicurativa personalizzata riduca alcune inefficienze, introduce al contempo potenziali distorsioni verso cui il regolatore deve tenere alta la guardia, per assicurare che una competizione sana possa soddisfare le esigenze di protezione dei consumatori. Una condizione necessaria per svolgere questo compito è lo studio rigoroso del personalized pricing in insurance anche in relazione alle esigenze di mutualità connaturate al metodo assicurativo.