Geopolitica. Il Sahel e gli attori esterni: il ruolo degli Stati Uniti d’America

Marco Rosichini -

Pubblichiamo una serie di articoli, con le posizioni sul Sahel di Paesi come gli Stati Uniti d’America, la Cina, la Russia e la Turchia.

Il Sahel

Il Sahel, “bordo”, è una fascia di territorio dell’Africa subsahariana comprendente sei Stati: la Mauritania, il Mali, il Burkina Faso, il Niger, il Ciad ed il Sudan. Nel corso della sua storia, specie nell’età contemporanea post-coloniale, la regione è stata sottoposta a vistosi processi di securitizzazione in conseguenza della great power competition. Difatti, negli ultimi anni, le grandi potenze del mondo affrancatesi dalla Guerra Fredda hanno perseguito una strategia di investimenti, politici ed economici, nella stabilizzazione di un’area fondamentale per l’implementazione degli asset strategici.

L’evoluzione degli interessi

L’attenzione dei Paesi stranieri, concretizzatasi in forme di partenariato e di alleanze, ha seguito in primo luogo l’evoluzione dell’interesse particolare dei singoli attori esterni, non rivolto, evidentemente, al solo miglioramento economico – sociale della regione. La necessità di garantire una forma di status quo, regionale ed internazionale, rispetto alle minacce che minano l’esistenza e l’integrità politico-territoriale della regione, si combina con il perseguimento di un interesse di natura squisitamente particolare nello sfruttamento delle risorse minerarie e strategiche. Ma come hanno agito e agiscono attualmente i vari attori internazionali nel processo di consolidamento della propria presenza nell’area?

Gli Stati Uniti d’America

A partire dagli eventi dell’estate del 1998 con l’attacco all’ambasciata americana in Kenya e Tanzania e, soprattutto, dopo i tragici eventi dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti hanno inaugurato una War on Terror nella regione saheliana e nel Corno d’Africa. Più in generale il continente africano, agli occhi della prima potenza mondiale, è stato il luogo privilegiato dove attuare un’azione globale di contrapposizione rispetto al fenomeno terroristico, e quindi di sperimentare dottrine di politica estera , come quella di Bush Jr, finalizzate all’eliminazione in radice di organizzazioni salafite-jiadiste legate ad Al-Qaida nel cosiddetto arc of instability.

Le strategie

La prima strategia degna di nota è la Trans – Saharan counter – terrorism partnership, promulgata nel 2005 con l’obiettivo di eliminare terrorist safe havens nella zona nord-ovest dell’Africa e inibendo così la diffusione dell’ideologia estremista. Gli Stati Uniti, rafforzando i loro legami militari con i paesi della regione coinvolti (Algeria, Burkina Faso, Camerun, Ciad, Libia, Mali, Mauritania, Marocco, Niger, Nigeria, Senegal e Tunisia), ed istituzionalizzando la cooperazione tra le forze di sicurezza nazionali, intendevano mettere in atto un approccio coordinato tra diverse attori regionali e sub-regionali per allocare più risorse, detronizzare i conflitti e, soprattutto, massimizzare l’effettiva presenza dell’apparato difensivo, diplomatico e di capacità degli stessi. Questa opzione militare verrà rafforzata con la creazione nel 2008 dell’United States Africa Command, struttura facente parte del Dipartimento della Difesa degli USA, la quale si intestava il ruolo di aggregatore delle diverse istanze di sicurezza militare del continente (con la sola eccezione dell’Egitto) contrastando minacce transnazionali.

Inoltre, l’esigenza di contenere attacchi terroristici da parte di militanti armati dello Stato Islamico (come l’imboscata di Tongo Tongo del 2017) richiedeva anche l’utilizzo di droni militari non solo per bombardare zone specifiche (come il sud della Libia), ma anche per affiancare Stati come la Francia nella strategia di controterrorismo tramite strumenti tecnologici di sorveglianza dell’area. Ad oggi, il rinvigorimento della miccia terroristica nell’area, richiede un approccio di counter – terrorism più assertivo in quanto, come ha affermato recentemente il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, esso rappresenta un imperativo per raggiungere pace, sicurezza e sviluppo. Tuttavia, lo strumento militare sic et simpliciter attuato dagli Stati Uniti non rappresenta una strategia vincente nel lungo periodo, avendo, di contro alle premesse iniziali, destabilizzato le nazioni africane.