Spesa previdenziale: il picco dal 2019 e fino al 2022

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La Ragioneria generale dello Stato ha pubblicato il consueto Rapporto annuale sulle tendenze di medio-lungo periodo della spesa previdenziale. Quali sono le principali evidenze?
Dopo la crescita nel triennio 2008-2010, imputabile esclusivamente alla fase acuta della recessione, il rapporto fra spesa pensionistica e PIL risente negativamente dell’ulteriore fase di contrazione degli anni successivi con effetti che si propagano per tutto il quadriennio 2012-2015. A seguito della doppia recessione, la spesa pensionistica/PIL si attesta nel 2013- 2014 su un valore più elevato di circa 2,5 punti percentuali rispetto al livello pre-crisi del 2007, passando dal 13,3 per cento al 15,8 per cento.

Successivamente, a partire dal 2015, la spesa pensionistica in rapporto al PIL, in presenza di una crescita economica che torna ad essere leggermente positiva, flette gradualmente portandosi al 15,4 per cento, nel 2016.
Tale tendenza, che sconta anche l’aumento dei requisiti di pensionamento, prosegue fino a raggiungere un minimo relativo del 15,2 per cento nel biennio 2017-2018.

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A partire dal 2019 e fino al 2022, il rapporto tra spesa pensionistica torna ad aumentare con un picco, pari al 16,9 per cento del PIL nel 2020 per poi ripiegare su un livello pari al 15,6 per cento nel 2022, valore che è 0,4 punti percentuali di PIL superiore al dato del 2018.
La spesa in rapporto al PIL cresce significativamente a causa della forte contrazione dei livelli di PIL dovuti all’impatto dell’emergenza sanitaria che ha colpito l’Italia a partire da febbraio 2020. Tale andamento è condizionato, inoltre, dall’esplicarsi delle misure in ambito previdenziale contenute nel D.L. 4/2019 convertito dalla L. 26/2019 secondo le quali, in via sperimentale, per coloro che maturano i requisiti nel periodo 2019-2021, è possibile lasciare il lavoro e pensionarsi in presenza di un’anzianità contributiva di almeno 38 anni e di un’età anagrafica non inferiore a 62 anni (Quota 100) unitamente alla riduzione dei requisiti di accesso al pensionamento anticipato indipendentemente dall’età anagrafica per il mancato adeguamento nel 2019 di tali requisiti all’incremento della speranza di vita.

In misura decisamente inferiore, la spesa risente anche degli effetti previsti dalle norme contenute nelle Leggi di Bilancio 2022 e 2023 che consentono, rispettivamente, di accedere al pensionamento con una età minima di 62 anni ed una anzianità contributiva minima di 38 anni (Quota 102) per chi matura tali requisiti nel 2022 e con una età minima di 62 anni ed una anzianità contributiva minima di 41 anni (Quota 103) per chi matura tali requisiti nel 2023.

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In conseguenza di tali misure, si assiste negli anni 2019-2022 a una più rapida uscita dal mercato del lavoro e all’aumento del numero di pensioni in rapporto al numero di occupati. Nel biennio 2023-2024, la spesa per pensioni cresce significativamente portandosi al 16,2 per cento del PIL. Le previsioni scontano poi gli effetti della elevata indicizzazione delle prestazioni imputabili al notevole incremento, del tasso di inflazione registrato nel 2022 e previsto per l’anno 2023.

Negli anni successivi, il rapporto tende a stabilizzarsi fino al 2029, pur in presenza di ipotesi di crescita del PIL meno favorevoli in relazione all’esaurirsi degli effetti del nuovo canale di accesso al pensionamento anticipato introdotto in via generalizzata e temporanea per i soggetti che maturano i relativi requisiti nel quadriennio 2019-2023 (Quota 100, Quota 102 e Quota 103) e in relazione all’ipotizzato parziale recupero dei livelli occupazionali precedenti sia all’adozione del provvedimento che ha introdotto Quota 100 sia al manifestarsi della crisi sanitaria.

Inoltre, si assiste alla prosecuzione graduale del processo di innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento e alla contestuale applicazione, pro rata, del sistema di calcolo contributivo. Dopo il 2029, il rapporto spesa/PIL aumenta velocemente fino a raggiungere il picco relativo del 17 per cento nel 2042. Nella parte centrale del periodo di previsione, si assiste all’incremento del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati indotto dalla transizione demografica, il quale è solo in parte compensato dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento. Tale incremento sopravanza l’effetto di contenimento degli importi pensionistici esercitato dalla graduale applicazione del sistema di calcolo contributivo sull’intera vita lavorativa.
Nella seconda parte dell’orizzonte di previsione, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL inizia una rapida discesa. La spesa si attesta al livello del 16,1 per cento del PIL nel 2050 e al 14,1 per cento nel 2070.

La rapida riduzione del rapporto fra spesa pensionistica e PIL è determinata dall’applicazione generalizzata del calcolo contributivo che si accompagna alla stabilizzazione, e successiva inversione di tendenza, del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati. Tale andamento si spiega, da un lato, con la progressiva uscita delle generazioni del baby boom e, dall’altro, con l’entrata a pieno regime del sistema contributivo e con l’operare dei meccanismi di stabilizzazione previsti dal sistema pensionistico italiano, espressamente disegnati per garantire la sostenibilità finanziaria del sistema insieme all’adeguatezza delle prestazioni, i quali prevedono l’adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento e dei coefficienti di trasformazione in funzione della speranza di vita.