Il rischio di “debasement” del dollaro: cosa significa e perché preoccupa i mercati

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Il timore di una svalutazione strutturale del dollaro. il cosiddetto debasement, torna a dominare il dibattito economico americano. Tra politiche espansive, debito record e nuova geopolitica monetaria, gli analisti di Wall Street Journal, Bloomberg e Financial Times spiegano perché la moneta più potente del mondo potrebbe non essere più intoccabile.

Cos’è il “debasement” del dollaro

Nel linguaggio finanziario, debasement significa perdita di valore reale di una valuta nel tempo, causata da un eccesso di liquidità, politiche fiscali espansive o sfiducia nella capacità di un Paese di mantenere stabile il proprio potere d’acquisto.
Non si tratta di una semplice fluttuazione del cambio, ma di una svalutazione strutturale: il dollaro conserva il suo ruolo nominale, ma perde progressivamente il suo potere di acquisto globale.

Come spiega Bloomberg, «investors are increasingly pricing in the risk that U.S. fiscal policy, coupled with persistent inflation, will lead to a debasement of the dollar’s real value» (Bloomberg, ottobre 2025). In altre parole, la paura è che gli Stati Uniti stiano “diluendo” il valore della propria moneta per sostenere crescita e debito, proprio come accadeva nel passato con le monete d’oro “depreciate” aggiungendo metalli meno preziosi: la moneta “valeva meno”, pur mantenendo lo stesso aspetto.

Perché il tema è tornato centrale

Negli ultimi mesi, la discussione è riesplosa. Il Wall Street Journal ha parlato apertamente di “fiscal dominance”, ovvero del rischio che la politica monetaria della Federal Reserve perda autonomia rispetto alla necessità del Tesoro di finanziare un debito pubblico ormai oltre i 35 trilioni di dollari. «The risk is that persistent deficits force the Fed to keep rates lower than it otherwise would, effectively debasing the currency to ease the debt burden», scrive il quotidiano americano (WSJ, settembre 2025).

Il dollaro resta forte nominalmente, soprattutto contro euro e yen, ma, come nota The New York Times, «that strength masks an erosion in purchasing power and global confidence, with gold and bitcoin both at record highs».

In sostanza: la forza apparente del dollaro nasconde una fragilità di lungo periodo. L’economia americana cresce, ma lo fa alimentata da debito e liquidità. Gli investitori temono che prima o poi il conto arrivi.

Oro e beni rifugio: il termometro del timore

La corsa dell’oro oltre i 4.300 dollari l’oncia è stata interpretata come un sintomo diretto del timore di debasement. «Bullion’s record rally reflects investors’ concern about U.S. fiscal credibility and the dollar’s long-term value», scrive il quotidiano londinese Financial Times (FT, ottobre 2025).

Anche CNBC confermava in settembre che «a growing share of institutional investors are diversifying away from the dollar into gold, commodities and alternative currencies, citing fears of long-term dollar erosion».

Per molti analisti, non è un caso che anche le banche centrali, inclusa la cinese e alcune emergenti, abbiano aumentato in modo massiccio le riserve auree negli ultimi 18 mesi. È un segnale di riduzione della dipendenza dal dollaro come valuta di riserva globale.

Le cause economiche

Le ragioni del rischio di debasement sono almeno tre:
Debito federale in crescita esponenziale: ogni anno gli Stati Uniti emettono più debito per finanziare spesa pubblica e interessi. Ciò spinge la Fed a politiche monetarie accomodanti.
Politica di tassi reali negativi: quando l’inflazione resta superiore ai rendimenti obbligazionari, il valore reale del dollaro si erode.
Competizione geopolitica e “dedollarizzazione”: l’espansione del commercio in valute alternative (yuan, rupia, euro digitale) riduce gradualmente la centralità del dollaro nei flussi globali.

Come sintetizzava The Economist, «The real threat to the dollar is not a sudden collapse, but a slow erosion of trust – a debasement of confidence as much as of value». (The Economist, agosto 2025).

Gli scenari possibili

Secondo il JPMorgan Global Outlook 2025 il rischio di debasement non significa necessariamente un crollo imminente, ma piuttosto una trasformazione del ruolo del dollaro nel sistema monetario globale: «The dollar will remain dominant, but its purchasing power and geopolitical leverage are likely to diminish over the next decade».

La Federal Reserve, per ora, respinge il termine “debasement”, ma riconosce che la sostenibilità fiscale è “una priorità di lungo termine”. In un discorso di luglio 2025, Jerome Powell ha ammesso che “high deficits combined with inflationary pressures can erode real confidence in the currency”.

Il “debasement” del dollaro non è un evento improvviso, ma una deriva possibile: la conseguenza di troppa fiducia nel debito e troppa tolleranza per l’inflazione. Mentre gli Stati Uniti continuano a godere del privilegio della loro valuta di riserva globale, il mondo, dagli investitori alle banche centrali, osserva con crescente cautela.

Come scrive The Financial Times, «the question is no longer whether the dollar can fall, but whether Washington can afford to keep it strong».