Il coronavirus è l’ultimo dei problemi per l’economia globale

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L’attenzione dei mercati è attualmente concentrata sulle notizie relative al virus che si sta diffondendo in Cina e all’eventuale impatto che tale situazione avrà sull’economia globale. Sicuramente si avranno conseguenze decisamente negative sul ciclo, dato che la Cina sta bloccando l’attività industriale, tuttavia credo che tale evento avrà un effetto transitorio: di norma, la diffusione di questi virus polmonari tende a recedere con l’arrivo della primavera e gli esperti prevedono un picco di sviluppo del contagio tra la metà di febbraio e l’inizio di marzo. Avremo dunque un primo trimestre estremamente difficile per l’economia internazionale, ma occorre considerare la transitorietà di questi accadimenti e inserirli nello scenario macro, che non è positivo.

Per capire cosa ci si può attendere dopo l’effetto virus è importante valutare in che stato di salute si trovava l’economia mondiale prima di tali accadimenti. Il rallentamento globale non è stato prodotto dalla guerra commerciale. Nel 2019 le esportazioni cinesi hanno fatto registrare un +0,5% rispetto al 2018, evidenziando un netto calo dell’export verso gli Stati Uniti (-12,9%) ma un aumento deciso delle esportazioni verso i paesi dell’Asean e Taiwan (+13%). Gli Usa, invece, hanno fatto registrare un modesto calo dell’import (-1,3%). Tuttavia, le importazioni di petrolio sono calate del 15% mentre quelle di beni e servizi sono praticamente rimaste invariate. La propaganda dell’amministrazione Trump, che evidenziava il miglioramento della bilancia commerciale Usa grazie alla trade war con la Cina, non è dipesa allora dal calo dell’export cinese ma dal sostanziale calo dell’import di petrolio Usa sui mercati internazionali.

L’America di Trump oggi continua a sbandierare un successo economico che tale non è. Gli Usa hanno infatti avuto solo una crescita del 2% con una politica fiscale espansiva del 5% del Pil, una politica monetaria sempre espansiva, un esuberante ciclo del credito al consumo che ha fatto esplodere l’indebitamento privato, una crescita eccessiva di leva finanziaria nel settore corporate e un altro boom nel settore immobiliare. Nonostante questi supporti fiscali, monetari e di credito a leva, oggi l’economia Usa ha dovuto ricevere un nuovo supporto monetario della Fed, che è tornata a stampare moneta da settembre, mentre il mercato dei Repo richiede un sostegno straordinario di 80/100 mld di dollari al giorno, evidenziando dunque seri problemi di liquidità. In caso di crisi gli Stati Uniti hanno ancora un margine sulla politica monetaria ma la politica fiscale dovrà essere supportata dalla Fed con un nuovo Qe, mentre il settore privato è esposto al livello di leva più elevato della storia, non ha risparmio interno ed è vulnerabile a un debito altamente speculativo.

Il tasso di crescita europeo, all’1%, è più solido di quello Usa: in caso di crisi ha modesti margini di politica monetaria ma ha ampi margini di politica fiscale e alto risparmio interno per finanziarla. Il ciclo economico Ue soffre del calo del settore manifatturiero, in particolare nel settore auto, e delle difficoltà generali dell’economia cinese.

Sia Europa che Giappone sono particolarmente sensibili alle dinamiche dell’economia in Cina perché esportano prodotti ad alto valore aggiunto, come auto, macchinari per l’industria pesante e strumenti di precisione, che sono particolarmente esposti alle dinamiche del ciclo e degli investimenti fissi in Cina. Essa intanto dice di crescere al 6% e a tutti conviene crederlo. Senza il Pil cinese “gonfiato”, il Pil mondiale sarebbe messo molto peggio. Se cerchiamo di capire veramente perché l’economia cinese è in difficoltà scopriamo che i problemi sono iniziati nel 2015, quando si verificò una crisi sui mercati finanziari, ben in anticipo rispetto alla “finta” guerra commerciale con gli Stati Uniti. Da allora la Cina ha iniziato a soffrire e l’America ha cercato di attaccarla in un momento di difficoltà per motivi interni, ma non è stata la guerra commerciale a produrre i veri danni e questo dovrebbe preoccuparci.

I veri fattori di debolezza del ciclo mondiale non sono curabili con le politiche monetarie richieste dalla finanza, ma con politiche economiche che siano mirate a sostenere i redditi reali. Tuttavia, il sistema preferisce il Qe per sostenere posizioni a leva su asset finanziari che generano sempre meno utili, dato che gli utili dipendono da come va l’economia. Quando la redditività di questi investimenti sostenuti dal leverage diventerà negativa, gli asset verranno comunque venduti perché nessuno è disposto a fare leva sulle perdite. Se oggi l’economia mondiale ha questi problemi strutturali, sarà piuttosto difficile assistere alla fantomatica ripresa, indipendentemente dalle dinamiche sanitarie in Cina.