Non gettiamoci a capofitto

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La durata dell’imminente recessione dipenderà dalla risposta monetaria e fiscale. Considerato il momento di difficoltà che stanno attraversando i fattori tecnici dei mercati, le valutazioni attuali compensano gli investitori per il maggiore rischio di insolvenza?

Fondamentali

L’impatto dalla pandemia sul PIL è destinato a superare di gran lunga il -5% registrato durante la crisi finanziaria. Tuttavia non è detto che la recessione, per quanto profonda, debba durare a lungo. Ciò dipenderà da una serie di fattori. Primo fra tutti la risposta monetaria, finora significativa. La Federal Reserve (Fed) ha tagliato i tassi di interesse e annunciato un’iniezione di liquidità di USD 700 miliardi nei mercati dei Treasury statunitensi e degli attivi garantiti da ipoteche, mentre la Banca Centrale Europea (BCE) effettuerà quest’anno acquisti netti di attivi superiori a EUR 1000 miliardi. Anche le Banche Centrali dei Mercati Emergenti si stanno dando da fare; le ultime a tagliare i tassi sono state quelle di Brasile, Cina, Corea del Sud e Polonia. La politica monetaria può spingersi ancora oltre. La Fed non ha ancora stabilizzato i mercati dei Treasury e quelli del credito negli Stati Uniti non sono stati ancora oggetto di interventi politici. Ulteriori misure, ad esempio l’estensione del programma di allentamento quantitativo alle obbligazioni societarie, potrebbero essere necessarie. Al momento, la BCE ha alzato i toni delle dichiarazioni, asserendo che “non vi saranno limiti” al suo impegno nei confronti dell’Euro. Il secondo fattore che incide sulla durata della recessione è la reazione dei governi. Le politiche sanitarie e sociali sono importanti, sebbene sia difficile valutare l’efficacia delle ultime misure adottate. Anche la risposta fiscale è estremamente importante e i governi lo sanno. Le misure che vengono al momento attuate negli Stati Uniti potrebbero bastare a contrastare il danno economico di una recessione, mentre la spesa dell’1-2% attualmente programmata dai Paesi europei segna solo l’inizio di una politica espansiva cui faranno seguito interventi più corposi.

Valutazioni quantitative

A proposito di valutazioni, gli spread si sono ampliati raggiungendo 905, 856 e 634 punti base rispettivamente per l’High Yield statunitense ed europeo e per i titoli di Stato dei Mercati Emergenti, livelli superiori a quelli registrati nelle precedenti crisi del 2011 e 2016. Ciò indica che le valutazioni scontano un notevole rischio di insolvenza e di riduzione del merito di credito e che potrebbe essere giunto il momento di valutare se queste classi di attivo offrano effettivamente valore. Prendiamo ad esempio l’High Yield: su un orizzonte temporale di due anni un investitore non ha mai subito perdite (in 44 esempi) acquistando obbligazioni High Yield, quando gli spread hanno superato gli 800 punti base, e ha realizzato rendimenti medi annualizzati del 24% e del 19% rispettivamente nei successivi 12 e 24 mesi.* Tuttavia, visto che il quadro fondamentale continua a evolversi molto rapidamente, può darsi che gli spread aumentino ancora. Gli attuali livelli non sono ancora vicini agli estremi osservati durante la crisi del 2008, segno che la prudenza è d’obbligo. (*Fonte: JPMorgan Chase & Co, 13 marzo 2020. Tutti gli altri dati sono aggiornati al 18 marzo.)

Fattori tecnici

Le migliori valutazioni sono bilanciate dalle notevoli difficoltà del quadro tecnico. La liquidità è limitata, gli spread denaro-lettera si allargano sensibilmente in tutti i settori ed è tuttora difficile rilevare i prezzi. I consistenti afflussi di inizio anno sono diventati flussi netti negativi da gennaio ad oggi: complessivamente i deflussi hanno superato USD 14 miliardi penalizzando prevalentemente il segmento High Yield, i prestiti e le obbligazioni in valuta locale dei Mercati Emergenti. Il relativo vigore dei flussi delle strategie Aggregate e Unconstrained (afflussi per oltre USD 20 miliardi) indica quanto siano elevati i livelli di incertezza degli investitori. Si cerca rifugio nei fondi del mercato monetario che da inizio anno hanno registrato sottoscrizioni per oltre USD 460 miliardi. Se dovessero proseguire i rimborsi nel reddito fisso, il numero di venditori forzati potrebbe aumentare, spingendo i prezzi al ribasso e creando ulteriori incertezze sul fronte delle valutazioni. (Tutti i dati sono aggiornati al 18 marzo.)

Cosa significa per gli investitori obbligazionari? 

I mercati stanno ancora cercando di capire la natura dell’imminente recessione e seguiranno con attenzione gli effetti degli stimoli monetari e fiscali. Nel frattempo, potrebbero crescere gli interrogativi sulla capacità delle valutazioni correnti di compensare gli investitori per un inevitabile aumento del rischio di insolvenza e di abbassamento dei rating. Al momento, alla luce delle attuali incertezze, i fattori tecnici non favoriscono un rialzo dei prezzi. Prima o poi torneremo a operare attivamente, ma per il momento sembra prudente continuare ad assumere un posizionamento difensivo.