Le conseguenze della pandemia sull’economia mondiale permarranno per un periodo non breve

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I tempi e l’intensità della ripresa che seguirà la fase di emergenza dipendono da fattori difficili da prevedere. Lo sottolinea il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nel presentare le Considerazioni finali.

Ricorda in premessa come nel nostro Paese la diffusione dell’epidemia è avvenuta prima che in altri Paesi europei.   Per contrastarla sono state adottate drastiche misure di “distanziamento sociale” e si è decisa la chiusura, per diverse settimane, di interi settori produttivi, che contribuiscono per quasi il 30 per cento al valore aggiunto nazionale e per circa il 35 per cento all’occupazione complessiva. L’impatto è stato mitigato dal ricorso al lavoro a distanza.

Gravi ripercussioni hanno inevitabilmente colpito altri comparti non direttamente interessati dalle misure di contenimento, in particolare i trasporti. Nel primo trimestre il PIL ha registrato una flessione dell’ordine del 5 per cento; gli indicatori disponibili ne segnalano una caduta ancora più marcata nel secondo. Alla metà di maggio il traffico aereo era inferiore di oltre l’80 per cento rispetto allo scorso anno, quello autostradale di quasi il 50; i consumi di gas per uso industriale di oltre il 15, quelli elettrici del 6. Negli ultimi mesi gli indici del clima di fiducia delle imprese e dei responsabili degli acquisti sono crollati.

Gli interventi di contrasto hanno rallentato la diffusione del virus;   la graduale ma evidente discesa dei contagi ha consentito di avviare la progressiva riapertura delle attività produttive all’inizio di questo mese.   Le conseguenze dell’epidemia sulla nostra vita quotidiana, sulle modalità di interazione sociale, sulle decisioni economiche delle famiglie e delle imprese potranno tuttavia protrarsi ancora a lungo. Ci vorrà tempo per tornare a una situazione di normalità, presumibilmente diversa da quella a cui eravamo abituati fino a pochi mesi fa.

Rafforzare la nostra economia

Proprio in considerazione del quadro di incertezza Visco sottolinea la necessità di  rafforzare da subito la nostra economia, per muoversi lungo quel disegno organico di riforme già per molti aspetti tracciato. I frutti di questa azione non potranno che vedersi col tempo, ma un progetto compiuto rende più chiara la prospettiva, influisce sulle aspettative, accresce la fiducia; può fondarsi su punti di forza che pure si sono andati affermando negli ultimi difficili anni. Grazie al recupero di competitività delle nostre esportazioni e ai forti avanzi commerciali registrati dal 2012 la posizione netta sull’estero dell’Italia ha raggiunto un sostanziale equilibrio. Le condizioni finanziarie delle banche e delle imprese sono migliori oggi che nel 2007. La ricchezza netta, reale e finanziaria, delle famiglie italiane è elevata: 8,1 volte il reddito disponibile contro 7,3 nella media dell’area dell’euro. Il debito delle famiglie è basso nel confronto internazionale ed è concentrato presso i nuclei con una maggiore capacità di sopportarne gli oneri; a fine 2019 ammontava a poco meno del 62 per cento del loro reddito disponibile, contro il 95 nella media dell’area dell’euro (con una punta di oltre il 200 per cento nei Paesi Bassi), il 96 negli Stati Uniti e il 124 nel Regno Unito. Alla fine del 2019 il debito delle imprese era pari al 68 per cento del PIL, contro il 108 dell’area dell’euro e valori superiori al 150 per cento in Francia e nei Paesi Bassi. Nel complesso del settore privato, il debito era pari al 110 per cento del PIL, oltre 50 punti in meno del valore medio dell’area dell’euro Questi dati mostrano tuttavia uno iato tra le risorse e l’effettiva capacità di utilizzarle per ritornare a una crescita sostenuta ed equilibrata, tale da riportare l’Italia il più rapidamente possibile ai livelli di benessere dai quali si è allontanata da oltre dieci anni, e per offrire alle generazioni future concrete possibilità di progresso negli standard di vita, nelle condizioni di salute, nei livelli di cultura generale.

I drivers della ripresa

Le tendenze demografiche non sono favorevoli: pur tenendo conto dell’apporto dell’immigrazione (stimato dall’Eurostat in circa 200.000 persone in media all’anno), la popolazione di età compresa tra 15 e 64 anni si ridurrà di oltre 3 milioni nei prossimi 15 anni. Tuttavia, proseguendo lungo tendenze simili a quelle degli ultimi 10 anni, l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro e l’allungamento della vita lavorativa potranno permettere all’occupazione di contribuire positivamente alla crescita, per oltre mezzo punto all’anno. Per riportare la dinamica del prodotto intorno all’1,5 per cento (il valore medio annuo registrato nei dieci anni precedenti la crisi finanziaria globale) servirà un incremento medio della produttività del lavoro di poco meno di un punto percentuale all’anno. Questo obiettivo richiede un forte aumento dell’accumulazione di capitale, fisico e immateriale, e una crescita dell’efficienza produttiva non dissimile da quella osservata negli altri principali paesi europei. Conseguirlo presuppone comunque una rottura rispetto all’esperienza storica più recente, richiede che vengano sciolti quei nodi strutturali che per troppo tempo non siamo stati capaci di allentare e che hanno assunto un peso crescente nel nuovo contesto tecnologico e di integrazione internazionale. I ritardi rispetto alle economie più avanzate non possono essere colmati con un aumento della spesa pubblica se non se ne accresce l’efficacia e se non si interviene sulla struttura dell’economia. L’azione della politica monetaria, che pure resterà a lungo straordinariamente accomodante, non potrà sostituirsi agli interventi necessari per innalzare il potenziale di crescita. Le risorse vanno indirizzate dove si possono ottenere i rendimenti sociali più elevati; per farlo serve un miglioramento continuo e profondo nei servizi pubblici offerti, con le necessarie semplificazioni e con la giusta attribuzione e consapevole assunzione delle responsabilità. Le tecnologie impiegate, la qualità e la motivazione delle risorse umane incidono profondamente sul funzionamento delle amministrazioni. L’esperienza maturata con la crisi è importante; ha mostrato la necessità di accelerare la digitalizzazione dei processi e ripensarne l’organizzazione. Il forte turnover atteso nei prossimi anni rende possibile l’ingresso di giovani motivati e con competenze elevate e differenziate; su di essi occorre puntare e investire. Va recuperato il ritardo accumulato nelle infrastrutture, sia quelle tradizionali, da rinnovare e rendere funzionali, sia quelle ad alto contenuto innovativo, come le reti di telecomunicazione, necessarie per sostenere la trasformazione tecnologica della nostra economia. La rete fissa a banda larga copre meno di un quarto delle famiglie, contro il 60 per cento della media europea, con una penalizzazione particolarmente accentuata nel Mezzogiorno. Indispensabile poi migliorare la qualità del capitale umano, affrontando i problemi di fondo del sistema scolastico, dell’università e della ricerca. Un’istruzione migliore rende di più, un paese che innova crea migliori e più diffuse opportunità di lavoro. I differenziali tra istituti e territori perpetuano e amplificano le diseguaglianze di reddito e di opportunità.  Ciò che soprattutto ci differenzia poi dalle altre economie avanzate è l’incidenza dell’economia sommersa e dell’evasione, che si traduce in una pressione fiscale effettiva troppo elevata per quanti rispettano pienamente le regole. Le ingiustizie e i profondi effetti distorsivi che ne derivano si riverberano sulla capacità di crescere e di innovare delle imprese; generano rendite a scapito dell’efficienza del sistema produttivo. Un profondo ripensamento della struttura della tassazione, che tenga anche conto del rinnovamento del sistema di protezione sociale, deve porsi l’obiettivo di ricomporre il carico fiscale a beneficio dei fattori produttivi. Politiche, riforme e comportamenti che ci riportino su ritmi di crescita sostenuta, diffusa ed equilibrata contribuirebbero anche a mantenere condizioni distese sui mercati finanziari, riducendo l’onere medio del debito e favorendo il necessario graduale riequilibrio dei conti pubblici. Crescita e politiche di bilancio si rafforzerebbero le une con le altre, in un circolo virtuoso che il nostro paese è in grado di attivare.