Dopo la BCE, i mercati guardano alle prossime mosse della FED

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Qualche settimana fa era opinione condivisa che la riunione di marzo della Banca Centrale Europea (BCE) non avrebbe rivestito carattere essenziale. Avrebbe dovuto svelare le nuove previsioni sull’inflazione e la crescita nell’Eurozona in assenza, però, di grandi cambiamenti in termini di politica monetaria. Invece, il recente movimento al rialzo dei tassi di interesse a lungo termine ha chiaramente alimentato le aspettative anche se difficilmente si poteva prevedere un qualche annuncio importante visto che il rialzo dei tassi europei è soprattutto determinato da quello dei tassi americani, mentre le prospettive di crescita nel Vecchio Continente non sono brillanti per il primo semestre e l’inflazione vi rimane bassa.

La BCE ha probabilmente trovato la giusta misura nell’annunciare che gli acquisti nell’ambito del PEPP “avranno un ritmo significativamente più sostenuto nel prossimo trimestre rispetto ai primi mesi dell’anno”. Da un lato, ha sorpreso i mercati in positivo, provocando un calo dei tassi a lungo termine e una riduzione del premio di rischio dei paesi europei periferici. Dall’altro, l’annuncio rimane sufficientemente moderato e non viene percepito come una reazione eccessiva, che sarebbe ingiustificata. Inoltre, permette alla banca centrale di accelerare gli acquisti a livelli migliori rispetto alla fine dello scorso anno in vista di un periodo che si preannuncia denso in termini di nuove emissioni di debito. È così riuscito l’esercizio di comunicazione della presidente Christine Lagarde.

Un esercizio che si annuncia molto più complesso per la Federal Reserve, quando Jerome Powell dovrà tener conto di due forze opposte. Da un lato, l’incremento innegabile delle prospettive di inflazione. L’effetto congiunto di vari elementi genererà molto probabilmente, nei prossimi mesi, un aumento dei prezzi al consumo negli Stati Uniti. L’attuazione del terzo piano di stimolo, recentemente approvato dal Congresso, si tradurrà in 422 miliardi di dollari di nuovi aiuti diretti alle famiglie, anche se il tasso di risparmio delle famiglie statunitensi è salito bruscamente in gennaio – superando il 20% del reddito disponibile – nonostante un forte aumento, in parallelo, delle vendite al dettaglio. Il serbatoio dei consumi è notevole. E mentre una parte di questo serbatoio rimarrà intatta, e sarà probabilmente investita parzialmente nei mercati finanziari, nei prossimi mesi diverse centinaia di miliardi di dollari potrebbero riversarsi nei consumi. Di fronte alla forte pressione al rialzo sui prezzi dei fattori produttivi – trasporto, energia e materiali non lavorati in particolare – le aziende saranno in grado di aumentare i loro prezzi di vendita, che si tradurranno in maggiori prezzi al consumo. Inoltre, l’inflazione verrà accentuata a titolo provvisorio dagli effetti di base dato che la variazione dei prezzi a un anno sarà calcolata tenendo conto della primavera del 2020 come punto di partenza, quando l’improvvisa chiusura dell’economia provocò un forte calo dei prezzi. Queste pressioni inflazionistiche potrebbero, naturalmente, spingere la Fed ad adottare una posizione meno accomodante.

D’altro canto, però, il mercato del lavoro, questione ufficiale per la Fed ormai, è lungi dall’essersi normalizzato. Il tasso di disoccupazione, corretto per il numero di persone che hanno lasciato il mercato del lavoro durante la crisi, si attesta all’8,5% circa (dato ufficiale, 6,2%). È sceso in modo significativo, da ottobre, il tasso di partecipazione per coloro che hanno conseguito soltanto un diploma secondario – uno dei tre indicatori della scorecard di Jerome Powell sull’occupazione – ed è vicino ai minimi dell’aprile 2020. Infine, attestato al 42,4%, il tasso di non occupazione – i disoccupati e coloro che sono esclusi dalla forza lavoro – rimane significativamente più alto rispetto al picco dell’ultima crisi (41,8%). In queste condizioni, è difficile che la Fed riduca il suo sostegno all’economia. Tra questi due estremi dovrà incamminarsi su un crinale che si annuncia particolarmente sottile.