Inflazione in ripresa e tassi bassi. Come posizionarsi?

-

I rendimenti dell’obbligazionario nelle economie avanzate hanno continuato a scendere per oltre trent’anni fino a passare in territorio negativo per buona parte degli emittenti sovrani in Europa e ad approdare allo 0,5% lo scorso anno per il Treasury decennale degli Stati Uniti.

Dietro la caduta dei rendimenti ci sono diversi elementi tra loro legati: l’invecchiamento della popolazione, una dura disciplina per quanto riguarda le finanze pubbliche, l’assottigliarsi della classe media e un’inflazione che si è confermata sin troppo bassa. La risposta a questi problemi per molto tempo è stata affidata alle sole banche centrali, che hanno usato gli strumenti a loro disposizione per far fronte alle crisi che si sono susseguite: tassi sempre più bassi e interventi di politica monetaria sempre più massicci per assicurare migliori condizioni di finanziamento ai governi e stimolare l’economia.

Le conseguenze di queste politiche monetarie non hanno interessato solo le obbligazioni, ma hanno coinvolto tutte le asset class. Negli Stati Uniti come in gran parte d’Europa (a eccezione dell’Italia, dove lo spread ha di fatto ridotto l’impatto dei tassi negativi), il mercato immobiliare ha vissuto forti rialzi delle valutazioni grazie alle buone condizioni di finanziamento. Ridurre i tassi d’interesse significa anche ridurre il tasso di sconto con il quale gli investitori valutano le aziende e, di conseguenza, le quotazioni sui mercati azionari hanno beneficiato a loro volta del trend discendente dei tassi d’interesse.

La tendenza sembra essersi invertita, almeno temporaneamente, a febbraio e molti investitori sono stati colti di sorpresa. Dalla seconda metà del mese i rendimenti dei Treasury statunitensi decennali sono saliti rapidamente a quota 1,5% innescando una correzione delle obbligazioni a lunga scadenza e delle azioni tecnologiche, tipicamente sensibili a rapidi rialzi dei tassi d’interesse.

Il rialzo dei rendimenti a lungo termine è stato causato da diversi fattori: l’accelerazione delle campagne vaccinali che dovrebbero consentire di allentare le restrizioni nel corso del secondo trimestre, l’aspettativa di una ripresa molto sostenuta nella seconda parte dell’anno e il rapido recupero dei prezzi delle materie prime.

Inoltre, si osserva una virata per quanto riguarda le politiche fiscali, che dopo lo shock del COVID-19 sono diventate decisamente espansive e orientate alla crescita in tutte le economie avanzate, come dimostrato dal Recovery Fund europeo e più di recente dall’approvazione da parte del Congresso statunitense di un ulteriore pacchetto di stimolo fiscale da 1900 miliardi di dollari.

Per quanto riguarda la traiettoria dell’inflazione, nei prossimi due-tre mesi continuerà a crescere su entrambi i lati dell’Atlantico, per via sia del confronto con lo scorso anno, quando eravamo nel pieno della prima ondata, che del rapido recupero dei prezzi delle materie prime. L’inflazione potrebbe superare il target delle banche centrali di circa il 2%, ma ci aspettiamo che possa stabilizzarsi a partire dalla tarda primavera.

Come ribadito più volte dal Presidente Jerome Powell, la Federal Reserve non reagirà a questi aumenti che considera temporanei, perché si concentra su obiettivi d’inflazione medi nel tempo. Inoltre, attenderà il raggiungimento della piena occupazione prima di prendere in considerazione rialzi dei tassi. Per questo l’aumento dei rendimenti registrato nelle scorse settimane potrebbe moderarsi nei prossimi mesi.

D’altra parte, la combinazione di un’inflazione più elevata (anche se di poco) e tassi bassi determina una diminuzione del potere di acquisto della liquidità e delle obbligazioni con migliori rating nel tempo. In questa fase gli investitori devono valutare attentamente quanta liquidità detenere: detenerne troppa rispetto alle reali esigenze comporta il rischio di subire gli effetti dell’inflazione e perdere potere di acquisto. Una volta accantonate risorse sufficienti a sostenere le spese future, occorre sfruttare le opportunità concesse dal mercato.

La riapertura delle economie nella seconda parte dell’anno porterà a un aumento degli utili aziendali, come già prospettato da numerose società in occasione della pubblicazione dei risultati di fine 2020. Per questo manteniamo una preferenza per il mercato azionario, in particolare per i settori ciclici e i mercati emergenti.

Inoltre, all’interno di un portafoglio diversificato una componente satellite di investimenti illiquidi può migliorare i rendimenti e la diversificazione. Gli investimenti illiquidi come il private equity, le infrastrutture, il credito e gli immobili possono consentire di ottenere ritorni superiori a quelli dei mercati quotati – a fronte di rischi impliciti maggiori (liquidità, leva finanziaria, concentrazione) – incrementando la diversificazione verso società, crediti e asset diversi da quelli quotati.