Nell’Italia del post Covid cresce la propensione al risparmio

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L’Istat ha presentato il  Rapporto annuale 2021 in cui ritrae la situazione del nostro Paese.

A metà del 2021, viene evidenziato, le conseguenze dell’emergenza sanitaria caratterizzano ancora il quadro economico e sociale. La recessione globale è stata violenta e di breve durata, con un rimbalzo favorito dalle misure di sostegno e una ripresa dell’attività economica in tutte le principali economie.   Il Pil italiano, dopo la caduta dell’anno passato (-8,9%) dovuta essenzialmente al crollo della domanda interna, è previsto in rialzo del 4,7% nel 2021.

Quali sono i principali profili che emergono dal Rapporto ?  Partendo dal quadro demografico si sottolinea come nel 2020 è contraddistinto dal nuovo minimo storico di nascite dall’Unità d’Italia e da un massimo di decessi dal secondo dopoguerra.  Tra i fattori determinanti dell’andamento della popolazione , anche per i riflessi sui progetti di vita individuali -,vi è il calo eccezionale dei matrimoni.  I primi dati relativi al 2021 rafforzano la convinzione che la crisi abbia amplificato gli effetti del malessere demografico strutturale che da decenni spinge sempre più i giovani a ritardare le tappe della transizione verso la vita adulta, a causa delle difficoltà che incontrano nella realizzazione dei loro progetti.  La pandemia ha avuto un effetto drammatico sulla mortalità, non solo per i decessi causati direttamente, ma anche per quelli dovuti all’acuirsi delle condizioni di fragilità della popolazione, soprattutto anziana.  Nei primi due mesi della crisi sanitaria sono aumentati i decessi legati a patologie per le quali la tempestività e la regolarità delle cure è spesso decisiva. I ritardi e le rinunce a prestazioni sanitarie , finalizzate alla cura di patologie in fase acuta o ad attività di prevenzione , avranno delle conseguenze sulla salute della popolazione.  I dati più recenti sull’attività di assistenza sanitaria territoriale, visite specialistiche e accertamenti diagnostici misurano una diminuzione generale delle prestazioni, anche di quelle indifferibili

Andando al mercato del lavoro si sottolinea come il calo dell’occupazione ha riguardato all’inizio principalmente i dipendenti a termine e gli indipendenti, poi anche i lavoratori a tempo indeterminato.

A maggio 2021 gli occupati risultano in diminuzione di 735mila unità rispetto a prima dell’emergenza.

Nel corso della crisi il calo dell’occupazione si è accompagnato, in un primo momento, alla diminuzione della disoccupazione e al contemporaneo aumento dell’inattività. Le misure di chiusura delle attività e le limitazioni agli spostamenti hanno scoraggiato, e in alcuni casi reso impossibile, la ricerca di lavoro e la stessa disponibilità a lavorare, ma nella fase recente di moderato recupero dell’occupazione emerge un ritorno alla ricerca di un impiego.

Le difficoltà causate dalla crisi sanitaria hanno pesato altresì sull’attività negoziale. Nel corso del 2020 sono stati rinnovati solo 8 contratti collettivi nazionali a fronte dei 49 scaduti (che corrispondono all’80,2% del monte retributivo totale). Ne è risultata una crescita delle retribuzioni contrattuali orarie dello 0,6%, in rallentamento rispetto all’anno precedente

Per quel che riguarda i consumi si sottolinea come il reddito disponibile delle famiglie consumatrici nel 2020 si è ridotto del 2,8% (-32 miliardi di euro), quasi azzerando la crescita del biennio precedente. I consumi finali hanno subito una caduta di dimensioni molto più ampie (-10,9%) e mai registrate dal dopoguerra e la propensione al risparmio è salita dall’8,1 al 15,8%.

I consumi sono scesi più nel Nord che nel Centro e nel Mezzogiorno. Nel complesso, la spesa per alimentari e per l’abitazione è rimasta invariata, mentre si sono ridotte molto quelle più colpite dalle misure restrittive sulle attività e dalle limitazioni agli spostamenti e alla socialità.

Il sistema produttivo italiano ha subito pesantemente gli effetti economici della crisi sanitaria. Nel primo semestre del 2020 oltre tre quarti delle imprese industriali con almeno 20 addetti hanno registrato ampie cadute di fatturato, sia sul mercato nazionale sia su quello estero. Segnali di recupero più diffusi si sono registrati nella seconda parte dell’anno e nel primo trimestre 2021.

Nella manifattura l’aumento dei ricavi ha coinvolto quindici settori su ventitré, ma solo nove – che pesano per oltre il 40% sull’indice di fatturato totale – sono tornati ai livelli pre-crisi. In quasi tutti la domanda interna è stata più vivace di quella estera. Nel terziario il recupero è ancora incompleto ed eterogeneo: a marzo 2021 il livello dei ricavi è ancora inferiore di oltre il 7% rispetto a quello registrato a fine 2019.

La crisi sanitaria ha compromesso in molti casi la solidità delle imprese: risultano strutturalmente a rischio la metà delle micro (3-9 addetti) e un quarto delle piccole (10-49 addetti), soprattutto nel terziario. Tuttavia, investimenti in R&S e digitalizzazione, e nella formazione avanzata del personale, aumentano significativamente la probabilità di limitare gli effetti negativi della crisi. Infatti, tra le imprese digitalmente più strutturate solo quattro su cento hanno ridimensionato l’attività.

L’impatto economico della crisi è stato eterogeneo tra le diverse aree del Paese. Le più penalizzate sono quelle a maggiore vocazione turistica, senza grandi differenze tra nord e sud del Paese. Risultano a elevato rischio operativo anche imprese a grande rilevanza locale che nel periodo pre-crisi presentavano una elevata intensità di investimenti e forti connessioni produttive con altre unità. L’incidenza di queste imprese è maggiore in Basilicata, Calabria e Sardegna ma anche nel Friuli-Venezia Giulia.