Andrea Camporese ci parla di morte del welfare e sfida di rinascita

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Andrea Camporese – 

Sul numero 11/22 di PROSPETTIVE edito da Mefop S.p.A. è stato pubblicato in questi giorni l’articolo a firma di Andrea Camporese sulla “morte del welfare” e la “sfida di rinascita”.

Con l’autorizzazione dell’autore riportiamo il testo, ma ci limitiamo solo ai punti salienti.
Qui il link all’intero articolo con le conclusioni dell’autore.

Il welfare nato e cresciuto nel dopoguerra è finito

Fino ad oggi ci si è concentrati sul bisogno, giustamente, immediato e non procrastinabile: quindi cassa integrazione, disoccupazione e tutte le forme di sostegno al reddito, di appoggio alla formazione per la ricollocazione. Questo modello nei Paesi occidentali rischia di essere un fallimento cocente per via del non allineamento tra i bisogni emergenti e le misure di sostegno. Il grande tema della tecnologia impattante sulle professioni, il lavoro discontinuo, il lavoro intermittente, la decisa e drammatica insufficienza della contribuzione previdenziale per almeno 5 milioni di lavoratori non dipendenti, la mancata crescita, almeno ai livelli sperati, della previdenza di secondo pilastro, completano il quadro.

Modelli di protezione nell’economia moderna

La “colpa” di essere nati in un’epoca di depressione delle certezze non può ricadere sulle giovani generazioni. Il senso di solitudine, a volte di sconfitta, che alberga nei giovani, porta con sé una quasi totale mancanza di fiducia nella protezione dello Stato e della società in genere. Non possiamo pensare che la fuga verso l’estero, possibile comunque per pochi, diventi una sorta di Eden per i migliori. Se è vero che le misure di sostegno immediato sono inevitabili, anzi auspicabili, è altrettanto vero che queste misure muoiono nel momento in cui significano semplicemente sopravvivenza. Si sviluppano e danno frutti solo nella dimensione di futuro, di professionalità, di raccordo ai nuovi lavori, alle nuove sfide. La vulgata che vuole la tecnologia impossibile da applicare agli ultra cinquantenni in difficoltà, o addirittura agli ultra quarantenni, perde sempre più forza davanti ad uno sviluppo ramificato delle opportunità che non comportano, usando una iperbole, la necessità di una laura in ingegneria informatica.

Turning Points 2022

Lo studio Linkiesta Magazin/New York Time Turning Points 2022, dimostra la mancanza di 15 mila camionisti (effetto Amazon e pandemia per semplificare), e di migliaia di periti industriali (effetto ecobonus tutto da confermare, ma la richiesta era eccedente anche prima delle misure mese in atto). Resta la cronica mancanza di informatici, 500 centri di formazione in Germania contro i 50 italiani. Queste risultanze smentiscono alla radice la scomparsa di alcune professioni cosiddette a basso valore aggiunto e ribadiscono il tema digitale in tutta la sua portata. Ma non serviranno solo programmatori (otre il 40% delle Pmi li cercano), verranno richiesti soggetti che propongano e implementino contenuti, e qui si apre una grande questione culturale. La ricerca, da parte di aziende tecnologicamente avanzate, di laureati in filosofia, in lettere, in fisica, in matematica, in psicologia, mette a nudo la grande crisi del pensiero industriale, chiuso nel suo qui ed ora.

La finanza

Se analizzassimo i prodotti finanziari immersi sul mercato negli ultimi 20 anni, scopriremmo che il tasso di innovazione è vicino allo zero. Una sequenza di slogan che nascondono sempre le stesse dinamiche. Sul piano previdenziale osserviamo una scarsa spinta fiscale al risparmio di secondo pilastro, quasi fosse una battaglia persa, mentre i dati Inps ci dicono che la battaglia è centrale, se non vogliamo trovarci di fronte milioni di nuovi poveri con pensioni da poche centinaia di euro. Aggiungiamo un milione di nuovi poveri post-pandemia e la forte difficoltà nel potere d’acquisto della scomparsa classe media, e il quadro del prossimo trentennio diventa davvero nero.

Cosa si può fare? Lavorare sugli investimenti Esg

Gli investimenti Esg (Enviromental social governance) devono ricomprendere una serie di indicatori legati al welfare. In sostanza sono “social” non solo se impatto sulla comunità, ma anche se la sostengo nella sua progressione di dignità sociale. Creazione di posti di lavoro, assenza di sfruttamento, regole di protezione su malattia e infortunio debbono essere incluse nelle analisi con maggiore specificità e cogenza. Ad esempio nella misurazione a medio-lungo periodo della qualità e quantità delle opportunità di lavoro create.

Creare una piattaforma digitale

Serve una piattaforma digitale unica nazionale di confronto delle innumerevoli offerte di welfare esistenti. Una piattaforma open source, vigilata dal pubblico, che metta a confronto le offerte in modo neutro e comprensibile. È ovvio che gli operatori privati, ormai centinaia nel settore, vivrebbero l’iniziativa come una invasione di campo rispetto alla libertà di business, ma allo stesso tempo immaginerebbero formule nuove, alleanze e masse consistenti per economie di scala.

Rete di misure di sostegno all’avvio dell’attività lavorativa

La necessità di nuove forme di sostegno all’avvio dell’attività lavorativa, e non nella sua maturità, appaiono dirimenti. In questo senso le oltre 20 misure messe in campo dalle casse private e privatizzate, rappresentano un esempio virtuoso di lettura del futuro. Incentivi all’acquisto di mezzi strumentali, a partire dai computer, alle assicurazioni professionali, all’accesso alle banche dati, fino ai prestiti e mutui a tassi molto bassi, rappresentano una direzione da non sottovalutare. Manca probabilmente una messa in rete di queste misure, una standardizzazione, una maggiore diffusione di conoscenza da parte dei potenziali fruitori.

Indagine sulle reali necessità dei giovani

Serve una ricerca sulle reali necessità dei giovani in relazione al welfare. Giovani, secondo le statistiche, significa under 40, e il numero dice tutto. Sotto questa soglia c’è solo la sopravvivenza. Un male europeo che rischia di divenire una cancrena sociale. Chiediamo a loro, per una volta, cosa desidererebbero per sentirsi più sicuri, più cittadini. L’incrocio delle fonti esistenti dice già molto: sconforto e assenza di futuro. La sfida, se non si vuole essere assistenzialisti, è sondare i bisogni e richiedere impegni.

Ottimizzazione del sistema fiscale

Se sostituendo parte della miriade di micro detrazioni e deduzioni, che lo Stato ha stratificato nei decenni, puntassimo sulla qualità della prestazione? Le risorse rinvenienti sarebbero destinate al welfare, ma con verifiche prospettiche rispetto agli effetti sui singoli.

Finanziamenti a fondo perduto, “busta della spesa”, creazione di “zainetti” di welfare, Pepp, prestito d’onore. Sono molte le proposte di Andrea Camporese. Qui il link all’articolo originale