La crisi è finita, ma l’editoria non se n’è accorta. L’intervento di Domenico Affinito al Congresso FNSI

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Domenico Affinito, autore di questo intervento oggi a Riccione durante il Congresso FNSI Federazione Nazionale Stampa Italiana, lavora al Corriere della Sera nella redazione di Dataroom, la rubrica di data journalism resa famosa da Milena Gabanelli con inchieste e approfondimenti per spiegare i fatti con l’ausilio di dati e nuove tecnologie. Domenico Affinito, membro del sindacato lombardo Alg, è alla testa dei delegati eletti nella lista “Non rubateci il futuro”.

I numeri della crisi

La crisi è finita, ma l’editoria non se n’è accorta. Il 2022 si è chiuso in Italia con 8,94 miliardi di euro di raccolta pubblicitaria, ma il 43,9%, 3,93 miliardi, è andato agli “Over The Top”: Facebook, Google, Tik Tok, Amazon, Apple. Un altro 39,4%, 3,5 miliardi, è andato alle Tv nei programmi di intrattenimento. Nella carta stampata i quotidiani perdono il 6,1%, chiudendo a 437,2 milioni di euro, mentre i periodici scendono del 4,8% attestandosi a 211,2 milioni.

I numeri della crisi stanno tutti qui. A livello mondiale il settore dei quotidiani è passato da oltre 200 miliardi di dollari di volume di affari e meno di 150. Nel nostro Paese nel 2010 i soli quotidiani raccoglievano 1,3 miliardi di euro di pubblicità: quasi il triplo rispetto ad oggi. Sempre nel 2022 il Fondo straordinario per gli interventi di sostegno all’editoria è stato di 90 milioni, 15 dei quali destinati alle edicole. Al sistema dell’informazione sono arrivati 75 milioni. Nel 2010 gli aiuti diretti dello Stato erano stati 110 milioni.

Cala la pubblicità, cala il sostegno dello Stato, calano i lettori

Stando ai dati del 55° Rapporto Censis 2021, i lettori di quotidiani scendono dal 47,8% degli italiani nel 2011 al 29,1% del 2021. Non vi è nessun altro media con una tendenza così negativa. È chiaro che di fronte a questi numeri l’appeal per gli investitori pubblicitari è drasticamente ridotto.

Eppure, la pubblicità è in ripresa, ed è tornata ai livelli precrisi 2008, e il numero di italiani che fruiscono informazione sale di anno in anno, ma pubblicità e lettori non vanno lì dove si applica il contratto di lavoro, non vanno lì dove c’è l’informazione professionale, che è l’unica garanzia di qualità, l’unico argine alle fake news. La disinformazione erode la base della democrazia perché mina la capacità dei cittadini di valutare i fatti e di orientare le proprie scelte. Per questo il giornalismo professionale va difeso come bene pubblico: servono regole che governino il nuovo mercato digitale dei media e servono forme di supporto pubblico, come sta succedendo in altri Paesi europei.

Una nuova legge di sistema

Serve, in sostanza, una nuova legge di sistema che tuteli il settore e riporti risorse al giornalismo professionale.

Sto parlando di detrazioni potenziate per chi investe in pubblicità sui media, di abbassamento del cuneo fiscale con norme che vadano a favore sia delle imprese sia dei giornalisti con aumenti in busta paga, di sgravi per le assunzioni di disoccupati over 45 anni, di introduzione di un bonus informazione annuo deducibile dalle tasse per ogni famiglia, di tutela del copyright rispetto agli over the top e di ridistribuzione delle risorse pubblicitarie.

Aiuti che dovranno andare solo agli editori che sottoscriveranno una carta nazionale per la qualità del giornalismo professionale e che applicheranno correttamente i contratti nazionali di lavoro sottoscritti con il sindacato unitario dei giornalisti, la Fnsi. È una battaglia che Fnsi e Fieg possono, devono, combattere insieme. Non tanto per salvare un settore industriale, ma per salvare un settore industriale senza il quale diritti e libertà non sono garantiti.

Perché bisogna pensare al futuro e non al passato.