Country Sustainability Report: la Finlandia mantiene il titolo di Paese sostenibile

Coziana Ciurea, Country Sustainability Specialist di Robeco -
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La Finlandia ha superato di poco la Svezia, seconda classificata, mantenendo così il titolo di Paese più sostenibile al mondo. La Danimarca ha superato la Norvegia per un posto tra i primi tre, mentre la Svizzera, ancora una volta, ha chiuso la top five dell’edizione primaverile del RobecoSAM Country Sustainability Ranking.

La Nuova Zelanda ha fatto irruzione in una top-ten tradizionalmente dominata dai Paesi europei. Nonostante il suo status di mercato emergente, l’Estonia si è classificata appena sotto la Nuova Zelanda, al n. 11. Il piccolo Stato baltico mantiene una performance di sostenibilità che supera le economie europee più grandi, tra cui Irlanda (n. 12), Regno Unito (n. 13), Francia (n. 15), Lussemburgo (n. 14) e Belgio (n. 24).

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Inoltre, i criteri climatici ed energetici continuano ad acquisire importanza. Sebbene alcuni Paesi stiano facendo progressi, i punteggi ambientali continuano a pesare sulle prestazioni di molti Paesi del G20, tra cui Canada (n. 16), Giappone (n. 17) e Australia (n. 21). Al contrario, i migliori punteggi relativi alla biodiversità e all’efficienza idrica hanno contribuito a far salire leggermente gli Stati Uniti alla posizione n. 36.

Sudan, Ciad e Libia in Africa e Iraq, Iran e Yemen in Medio Oriente hanno invece occupato le posizioni più basse della classifica dei 150 Paesi.

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Figura 1: La mappa del global country sustainability ranking Fonte: Robeco, country sustainability score Aprile 2023. I Paesi sono colorati in base ai punteggi ESG

 

Il crollo della Turchia

L’inflazione estrema e un terremoto catastrofico hanno contribuito a mobilitare l’opposizione turca, spingendola più vicina che mai a rovesciare il regime del presidente Recep Tayyip, che dura ormai da due decenni. Sebbene abbia lanciato una sfida formidabile, l’opposizione non è stata in grado di liberare la Turchia dalla morsa di Erdoğan. Il deterioramento della posizione ESG del Paese, che per decenni è stato in ritardo rispetto ai mercati emergenti, è destinato a proseguire.

La morsa autoritaria ha lasciato le istituzioni culturali, politiche ed economiche deboli e impreparate a gestire un pericoloso mix di rischi ambientali, sociali e politici. Tali rischi includono l’aumento delle emissioni, l’invecchiamento della popolazione, la riduzione dei diritti dei lavoratori, la limitazione delle libertà individuali e la corruzione dilagante.

Autocrazia versus democrazia

Oltre che in Turchia, la democrazia è stata sotto attacco in regioni di tutto il mondo, tra cui il Perù e il Brasile in Sud America, l’Etiopia e la Tunisia in Africa, il Myanmar e la Thailandia nel Sud-Est asiatico. Tuttavia, si tratta di futili episodi rispetto all’invasione di uno stato sovrano, l’Ucraina, da parte della Russia.

Nel frattempo, la fenomenale crescita economica della Cina ha messo in discussione l’idea di lunga data che la democrazia sia superiore ai regimi autocratici. Una nuova ricerca del FMI confuta queste affermazioni, dimostrando che solo una democrazia forte fornisce i punti fermi necessari per stimolare l’innovazione e far progredire lo sviluppo economico. Inoltre, i recenti risultati di Freedom House dimostrano che, dopo due decenni, il declino della democrazia potrebbe aver raggiunto il nadir.

L’invecchiamento demografico del Giappone: una piramide rovesciata

Con quasi un terzo della popolazione di età superiore ai 65 anni e uno dei tassi di fertilità più bassi al mondo, il Giappone sta affrontando una sfida demografica di proporzioni inverse. Il suo old age dependency ratio (il rapporto tra persone anziane e popolazione lavorativa) si attesta al 51,2%.

L’invecchiamento demografico comporta gravi rischi per le finanze pubbliche che il Giappone non può permettersi. Il debito pubblico stimato per il 2023 è pari al 258% del PIL e si prevede che raggiungerà il 264% nel 2028, quasi il doppio di quello degli Stati Uniti.

Australia: una rinnovata ambizione climatica

Inondazioni e siccità catastrofiche colpiscono l’Australia con sempre maggiore regolarità, spingendo il governo a intensificare gli sforzi per combattere il cambiamento climatico. Nel 2022, l’Australia ha incluso piani di riduzione delle emissioni nella legislazione nazionale. A partire da quest’anno, inoltre, ha vietato l’uso di sistemi di compensazioni di carbonio per ridurre le emissioni nelle industrie altamente inquinanti.

Sebbene si stia muovendo nella giusta direzione, l’Australia ha ancora molta strada da percorrere, dato che è uno dei maggiori emettitori di CO2 al mondo. L’energia domina le esportazioni e genera quasi la metà (47%) delle emissioni totali nazionali. Il passaggio alla produzione rinnovabile (dall’attuale 27% all’82% nel 2030) comporterà elevati costi sociali. Una transizione accelerata e senza intoppi richiede una rapida riqualificazione e il trasferimento dei lavoratori dai posti di lavoro nei combustibili fossili al settore dell’energia pulita.

Sudafrica, un potenziale non sfruttato

Grazie a piccoli miglioramenti negli ambiti della biodiversità, dell’invecchiamento e della stabilità politica, Cina, India e Brasile hanno registrato piccoli aumenti nei punteggi e nelle classifiche. Tuttavia, le nazioni del blocco BRIC si sono posizionate nella metà inferiore della classifica di sostenibilità, rimanendo ben al di sotto del proprio potenziale ESG. Il Sudafrica, in particolare, è in difficoltà.

Nell’ultimo anno, il Sudafrica ha affrontato una serie di crisi. Le carenze infrastrutturali hanno portato a interruzioni di corrente paralizzanti, le condizioni meteorologiche estreme a carenze di approvvigionamento idrico, le lotte tra fazioni ai peggiori disordini civili dal crollo dell’apartheid. Nel frattempo, la pandemia di Covid e le continue tensioni geopolitiche all’estero hanno ostacolato le importazioni di prodotti alimentari, hanno esacerbato le già dilaganti disuguaglianze di reddito e rallentato la crescita economica e lo sviluppo.

Il Paese, un tempo manifesto della potenza economica dei mercati emergenti, per decenni non è riuscito ad affrontare i gravi ostacoli alla crescita, tra cui l’alto tasso di disoccupazione, la corruzione dilagante e gli investimenti insufficienti nelle infrastrutture fisiche e sociali. Anche dopo più di cinque anni di mandato, l’attuale Presidente Cyril Ramaphosa non è stato in grado di attuare riforme significative e le prestazioni in termini di sostenibilità e il rating sovrano hanno registrato un costante declino dall’inizio del 2009.