Come stimare l’impatto reale del coronavirus sull’economia

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L’epidemia di coronavirus viene spesso paragonata a quella di SARS del 2002-03, nel tentativo di comprenderne le implicazioni a lungo termine e l’impatto economico. Tuttavia, l’epidemia di SARS è coincisa con un rallentamento della crescita del Pil, la guerra in Iraq e un rialzo dei prezzi del petrolio. Siamo sicuri quindi che sia un buon caso di studio per il coronavirus? In alternativa, a quali altri dati si può guardare?

L’epidemia di SARS non è un buon caso di studio

La SARS ha generato 8.098 contagi e 774 decessi in 17 Paesi. In corrispondenza dell’epidemia, il tasso di crescita del Pil cinese è diminuito del 2,1% nel primo trimestre 2003 rispetto al trimestre precedente.

Tuttavia, vi sono differenze significative con la situazione attuale. Nel 2003 la Cina più che essere un driver per l’economia globale – di cui rappresentava solo il 5% – era una cassa di risonanza per oscillazioni e shock che avvenivano altrove.

Inoltre, il rallentamento delle economie del G7 e il calo della produzione del petrolio legato all’invasione dell’Iran possono aver avuto un impatto nello stesso periodo. Secondo i calcoli dei nostri esperti, il calo del tasso di crescita cinese nel 1° trimestre 2003 riconducibile a fattori idiosincratici interni alla Cina – tra cui la SARS – è solo dell’1%, mentre il resto è attribuibile a fattori esterni come la crescita globale e il prezzo del petrolio. Per questo, a nostro avviso, la SARS non è un buon caso di studio per comprendere il potenziale impatto del coronavirus.

L’alternativa: misurare la perdita di giorni di lavoro

Un approccio alternativo e a nostro avviso più valido per stimare l’impatto economico dell’epidemia – senza doversi affidare alla SARS – è quello di quantificare l’effetto dei giorni di lavoro persi a causa del virus sulla produzione complessiva. In base alle nostre stime, le misure imposte dal Governo cinese all’inizio di febbraio hanno provocato una perdita di 8 giorni lavorativi per il Paese nel complesso. La perdita di un giorno lavorativo provoca una perdita di output di circa 0,4%. Di conseguenza, si può stimare una riduzione del 3,2% nel tasso di crescita trimestrale cinese dovuto all’epidemia.

L’impatto stimato con questo metodo sarebbe superiore a quello della SARS nel 2003. Tuttavia, va considerato che, se si volesse usare l’impatto della SARS per stimare quello del COVID‑19, bisognerebbe anche aggiustarlo per il numero di contagi, ovvero moltiplicarlo per un fattore 15, dato che i casi di coronavirus sono già 15 volte quelli di SARS. L’impatto stimato in questo modo sarebbe immenso.

Siamo quindi convinti che, osservando la sensibilità della crescita economica alla perdita di giorni lavorativi (0,4% del Pil per ogni giorno perso), si ottenga un’indicazione molto più affidabile sull’impatto reale del virus che non moltiplicando arbitrariamente gli effetti della SARS. Lo stesso metodo può essere utilizzato per stimare l’impatto in altri Paesi che sono stati colpiti duramente dall’epidemia, come l’Italia.

Per concludere, stiamo continuando a monitorare gli indicatori ad alta frequenza relativi ai viaggi, all’inquinamento e al consumo di carbone nelle centrali elettriche. Questi dati ci permetteranno di misurare in modo più accurato e in tempo reale quanti giorni lavorativi sono stati effettivamente persi e, in base al metodo illustrato, quale sarà quindi l’impatto reale sull’economia, con grande anticipo rispetto alla pubblicazione dei dati ufficiali di lungo periodo.