Il ciclo finanziario statunitense potrebbe essere vicino a una flessione

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Il ciclo finanziario statunitense si sta avvinando al proprio picco. Ciò dipende dagli effetti a livello globale del conflitto tra Russia e Ucraina, tra cui il forte rincaro delle materie prime, il rallentamento del commercio mondiale e l’aumento dell’incertezza per famiglie e imprese. La maggiore aggressività della Fed, per giunta, implica una crescita dei tassi d’interesse negli Stati Uniti che spinge al rialzo il costo dei mutui immobiliari. Queste difficoltà hanno iniziato a colpire l’economia statunitense quando vi erano già dei primi segnali di rallentamento della crescita del debito privato e dei prezzi degli immobili nel Paese.

In questa fase il ciclo finanziario negli Stati Uniti dipende a tutti gli effetti dall’eventualità che i prezzi degli immobili nel Paese continuino a esibire una crescita robusta, favorendo un ulteriore incremento del credito. È tuttavia improbabile che la crescita a doppia cifra dei prezzi degli immobili vada avanti ancora a lungo. I prezzi degli immobili corretti per l’inflazione sono già ben al di sopra dei propri livelli tendenziali e i tassi dei mutui continuano ad aumentare, con quelli dei mutui trentennali a tasso fisso che, di recente, hanno superato il 5% per la prima volta da oltre un decennio.

Con l’impennata dell’inflazione la crescita del credito potrebbe rallentare

L’aumento dell’indice dei prezzi al consumo negli Stati Uniti, ai massimi degli ultimi 40 anni, è tra i fattori che pesano di più sul ciclo finanziario nel Paese. Tali cicli seguono i prezzi degli immobili e la crescita del credito corretti in base all’inflazione. Se questi fattori crescono più rapidamente dell’inflazione, dunque, il ciclo non può che accelerare.

Dal 1970 in poi, in genere, la crescita nominale del debito privato negli Stati Uniti è stata superiore al tasso d’inflazione. Ora, tuttavia, l’inflazione è alle stelle, mentre la crescita nominale del debito privato è rallentata, ed è difficile che emerga un fattore tale da provocarne la ripresa in un momento in cui la Fed aumenta aggressivamente i tassi d’interesse. In assenza di un sostanzioso releveraging da parte del settore privato, la crescita del credito è destinata con tutta probabilità a rallentare ulteriormente e ad entrare in territorio negativo, in termini reali, nel corso del 2022. Ciò è già accaduto in passato, ovvero durante gli ultimi due picchi del ciclo finanziario negli Stati Uniti rispettivamente alla fine degli anni ‘80 e tra il 2006 e il 2007.

Il ciclo finanziario non è a rischio solo negli Stati Uniti

Quello di cui stiamo parlando non è solo un problema degli Stati Uniti. Segnali di una brusca flessione del ciclo creditizio si sono registrati anche in altri mercati sviluppati. Al terzo trimestre 2021 la crescita mediana del credito in un paniere costituito da 16 mercati sviluppati risultava quasi piatta. Questo dato è stato sicuramente distorto dalla forte impennata del credito sperimentata nel 2020, eppure l’attuale andamento tendenziale implicito del comparto è molto più fiacco rispetto a prima dello scoppio della pandemia, e ancor di più rispetto a prima della crisi finanziaria globale. Considerando la natura globale della recente impennata inflazionistica e il drenaggio di liquidità da parte delle principali banche centrali, assisteremo molto probabilmente all’ulteriore avvicinamento di gran parte dei cicli finanziari al proprio picco o, addirittura, all’inizio del relativo deleveraging. Questo sarebbe un fatto negativo anche per i mercati azionari. Qualora l’inflazione proseguisse fino al 2023 e i cicli creditizi rimanessero fiacchi, la maggior parte dei Paesi supererebbe verosimilmente il picco del proprio ciclo finanziario.

Sebbene questo trend possa provocare delle turbolenze finanziarie, sussiste a mio avviso un minor rischio che culmini in una stretta creditizia globale poiché oggi i livelli di capitale delle banche, a livello mondiale, sono molto più elevati rispetto a prima della crisi finanziaria. Ci sono pochi dubbi, tuttavia, sul fatto che gran parte dei Paesi sviluppati si trovi saldamente nelle ultime fasi del proprio ciclo finanziario.

Il ciclo finanziario dell’eurozona potrebbe aver già superato il proprio picco

Gli ultimi dati diffusi lasciano pensare che il ciclo finanziario dell’eurozona abbia già superato il proprio picco. Al di fuori della Germania non vi è alcun segnalare di un boom del comparto creditizio o di quello immobiliare nell’eurozona. L’attuale impennata dell’inflazione primaria nell’eurozona non farà che rendere più improbabile un’accelerazione in termini reali del debito privato.

Di recente il mercato immobiliare tedesco ha registrato performance piuttosto buone, ma la crescita del credito nel Paese ha iniziato a ridursi. Nel 2020 i Paesi periferici dell’eurozona hanno sperimentato una crescita del credito dopo un decennio di deleveraging seguito alla crisi finanziaria, ma tale crescita sta iniziando a rallentare e potrebbe aver rappresentato solamente un effetto temporaneo della pandemia.

Si tratta a mio parere di un fatto dagli effetti ribassisti per l’euro rispetto al dollaro. Non solo il ciclo finanziario dell’eurozona si sta indebolendo più rapidamente di quello statunitense, ma la Fed ha anche intrapreso un percorso di inasprimento delle politiche monetarie più aggressivo rispetto a quello della Banca centrale europea. Questo fatto è destinato a rendere il differenziale dei tassi reali più favorevole per il dollaro. L’Europa, inoltre, è molto più vulnerabile alle interruzioni delle forniture energetiche da parte della Russia.

Il ciclo finanziario cinese ha già superato il proprio picco

In Cina il ciclo finanziario è cresciuto vertiginosamente per anni dopo la crisi finanziaria globale data l’enorme mole dei debiti contratti da famiglie e imprese. Il ciclo ha ricevuto un ulteriore impulso grazie agli stimoli forniti dal governo nel 2020 in risposta alla pandemia.

Ora, tuttavia, il ciclo finanziario cinese ha superato il proprio picco. Le autorità hanno fatto fatica a gestire un processo di deleveraging ordinato. I prezzi degli immobili e le relative vendite sono in caduta libera, e svariati promotori immobiliari sono alle prese con un significativo stress creditizio. Una serie di lockdown nell’ambito della politica “zero COVID” cinese potrebbe protrarsi per il resto di quest’anno e perfino oltre. Ciò, con tutta probabilità, peserebbe su dei consumi già deboli, deprimerebbe ulteriormente le vendite di immobili e inasprirebbe l’aumento della disoccupazione.

Tutti questi fattori sono verosimilmente destinati a provocare un forte rallentamento dell’economia cinese e ulteriori interruzioni delle catene di approvvigionamento in grado di trainare al ribasso la crescita globale, con probabili ripercussioni negative per i mercati emergenti dipendenti dalle esportazioni e dalla domanda cinese, tra cui Vietnam, Malaysia e Brasile.

Rispetto a un anno fa svariati Paesi si sono avvicinati o hanno addirittura superato il picco del proprio ciclo finanziario. L’aumento dell’inflazione e dei tassi d’interesse, il rallentamento della Cina e il conflitto tra Russia e Ucraina sono tutti fattori che stanno alimentando questo trend. In molti Paesi, i guadagni sul fronte dei prezzi degli immobili ottenuti dallo scoppio della pandemia di COVID-19 in poi appaiono sempre più vulnerabili, mentre nelle economie avanzate la crescita del debito privato è ormai piatta. Sebbene il picco del ciclo finanziario non segnali necessariamente una recessione imminente, esso fa presagire un periodo di deleveraging potenzialmente in grado di pesare sulla crescita economica globale.