Juventus, storia di capitani (non) coraggiosi… dall’Avvocato a “Jaki”

Gianluigi Rossi -

Il passaggio di testimone dall’Avvocato a “Jaki” non pare dei più riusciti

Come il più importante Gruppo industriale italiano si è sfaldato in un ventennio (anche a beneficio dei cugini transalpini) per insipienza.
La data del 16 gennaio 2023, nella quale si è tenuta l’Assemblea dei Soci sull’affaire Juventus FC, resterà nella storia del Club e, forse, del calcio italiano. Seppur per ragioni estranee al campo. Exor N.V., in qualità di azionista di controllo del team bianconero, ha preso atto delle dimissioni di tutti gli organi sociali e ha nominato un nuovo Consiglio di Amministrazione designando esclusivamente professionisti legali e societari. Ottime e preparatissime persone, che però con il calcio (giocato e negoziato) non “c’azzeccano” nulla. Del resto il loro mandato è chiaro: evitare l’affondamento giudiziario (sportivo, civile e penale) del blasonato Club al fine di venderlo sul mercato, senza troppa ignominia e cercando di recuperare almeno il parte lo smarrito Stile Juventus. Liquidatori, insomma.

Gli insuccessi

La vicenda rappresenta l’ultimo capitolo di una teoria di “successi” inanellati dalla gestione di John “Jaki” Elkann della galassia ex-Agnelli:
l’uscita da Mediobanca, “cabina di regia” delle dinamiche finanziario-industriali italiane (peraltro forse l’unica scelta oggettivamente sensata);
lo strappo con Confindustria (a rimarcare il disinteresse per le sorti del mercato del lavoro nazionale);
l’abbandono del Corriere-RCS dopo averlo condotto alla sua peggiore crisi;
la fusione de La Stampa con Espresso – Repubblica seguita da cambi vorticosi di direzione e direttori e, comunque, totalmente inefficace tanto che oggi la joint-venture, in profondo rosso, è alla ricerca di un compratore;
lo spostamento dall’Italia all’Olanda della sede e della testa del Gruppo FIAT/FCA (finalizzata a proteggere e blindare il “controllo minoritario” della famiglia Elkann), con conseguente enorme contenzioso con il Fisco italiano;
la cessione di tutto il business automobilistico (esclusa Ferrari) ai francesi di PSA-Peugeot (ossia lo Stato Francese);
Il pasticcio delle assicurazioni Partner RE;
l’alienazione, irrilevante economicamente ma clamorosa dal punto di vista simbolico, del Lingotto, immobile emblema di Torino e della storia Fiat;
la più lunga, nella storia del marchio, striscia negativa di risultati per Scuderia Ferrari nel campionato di F1, senza una guida tecnica adeguata da ormai un decennio;
e, appunto, la fine dell’epopea juventina, previo tentativo (in corso) di salvataggio almeno della reputazione, dopo anni di scandali (iniziati con la calciopoli del 2006, continuati con i finti esami per la cittadinanza ai giocatori e, ora, approdati ai paventati reati societari, contabili e di mercato borsistico).

Altre vicende

Si tace, per buon gusto, della vicenda (paradossale per cinismo, arroganza e avidità) che vede madre (Margherita Agnelli) ed i tre figli-fratelli Elkann in guerra da anni per l’eredità di famiglia e il controllo di Exor (con i giudici impegnati da un decennio a dibattere di holding opache, clamorose elusioni fiscali, gestori infedeli e rendiconti incompleti, notai reticenti e testamenti fasulli o invalidi, etc)

In un Gruppo nel quale le successioni non avvengono “da padre a figlio” bensì “da nonno a nipote”, almeno fino ad oggi, il passaggio di testimone dall’Avvocato al timido ed efebico Jaki non pare delle più riuscite (se non forse per le tasche personali sue e degli stretti congiunti).
Giovanni Agnelli, che scompariva esattamente 20 anni fa, è ricordato come l’esponente più brillante della dinastia, quello che ha guidato per quasi 5 decenni le attività del Gruppo (ereditato a sua volta dal nonno) rendendolo, unitamente alla sua figura personale, baricentro del dibattito politico, culturale, sociale, mondano, economico di volta in volta generatosi in Italia. A volte, secondo alcuni, anche perdendo focus e capacità sul core business automobilistico.

L’Avvocato

L’Avvocato non era un santo e forse nemmeno un modello, né nella vita privata (segnata dalla sua debolezza per il fascino femminile e dalla morte del figlio Edoardo) né in quella professionale (il Gruppo che ha lasciato alla sua morte era sull’orlo della bancarotta e, come si scoprirà in seguito, aveva per tempo esportato la più parte del suo patrimonio personale all’estero per eludere la normativa fiscale e successoria). Ma aveva certamente un profondo senso etico del ruolo, che ha declinato senza risparmi in ambito sociale, politico, istituzionale.

John Elkann

Quale immagine di sé, ammesso ve ne sarà una, sta costruendo John? A sua esimente si deve ricordare la successione dell’Avvocato è stata una vicenda difficile, per certi versi anche imprevedibile: per la quale erano venuti meno in serie sia l’erede naturale (il figlio Edoardo) sia quello prescelto (il nipote Giovannino). John Elkann si è trovato, troppo presto e senza vocazione, a sedere su un trono per il quale non era pronto.

Certo, la “buona educazione” ed i tutor affiancatigli (Luca Cordero di Montezemolo, Sergio Marchionne e Gianluigi Gabetti) hanno rinviato il momento della verità, quello nel quale si è disvelata al mondo la mancanza delle doti che fanno la differenza tra chi eredita un patrimonio e chi lascia il segno nella storia di un Paese. Del resto, i suoi 20 anni di “gavetta” sono ormai passati. Ed i risultati sono quelli ricordati.

Jaki non è peggio di moltissimi eredi di altre (note e meno note) famiglie imprenditoriali italiane, con la differenza che a lui è toccata in sorte la guida non di “una” bensì “della” prima e più importante realtà industriale del Paese. Generando aspettative certamente troppo alte, forse anche sbagliate. E che infatti risultano disattese. Lui, dimentico o sprezzante della ineludibile responsabilità sociale che un ruolo come il suo comporta, cede, vende, monetizza; non si spende, non si impegna mai in prima persona, non si schiera, non persegue un “sogno” di qualche impatto collettivo (anche senza voler emulare Olivetti…). E’ assente da qualunque ambito di dibattito nazionale o internazionale. E non si ha evidenza nemmeno di quelle eminenti figure di amici, manager e consulenti che l’Avvocato scelse e dei quali si circondò, quelli che chiamava all’alba per un confronto. John naviga solo (del resto non gestisce più nulla, si limita a liquidare…), chissà se perché non si fida di nessuno o non riesce a scegliere di chi farlo. Lavora per essere ignorato, quasi che ogni responsabilità non sia mai anche un servizio onorevole bensì solo un peso; per l’Italia è ormai praticamente irrilevante. Invero già oggi è uno sconosciuto ai più, consegnato ad una striminzita reminiscenza. “C’era una volta la FIAT e Gianni Agnelli; e poi….?

di Gianluigi Rossi