Attenzione al cambio yuan/dollaro

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Mentre la maggior parte degli analisti è concentrata adesso sulle nuove tensioni tra Washington e Pechino, sta emergendo un fenomeno alquanto complesso, vale a dire un movimento sostanziale nelle valute, in particolare dello Yuan. Il 1° maggio, lo Yuan ha raggiunto il suo livello più basso contro il dollaro da marzo, vicino ai livelli registrati a ottobre 2019. Dal 17 gennaio di quest’anno, lo yuan è scivolato di circa il 3,5% rispetto al dollaro. Va ricordato che la valuta cinese è scesa di oltre il 14% contro il biglietto verde da marzo 2018.

Inoltre, è importante sottolineare che il funzionamento della moneta della seconda economia mondiale (e primo esportatore) non è né totalmente fisso né totalmente fluttuante. Infatti, il regime cinese dei tassi di cambio può essere qualificato come intermedio. A differenza degli Stati Uniti o dell’Eurozona, che permettono al tasso di cambio di fluttuare liberamente, la Cina stabilisce in maniera amministrata ogni mattina un tasso di riferimento attorno al quale la sua valuta non può variare di oltre il 2%, verso l’alto o verso il basso. Rendendo chiaro che ogni mattina fissano il livello dello yuan in base al valore di chiusura del giorno precedente (rimanendo entro un intervallo di più o meno il 2%), le autorità dimostrano di tenere conto del mercato per avvicinarsi il più possibile a una fluttuazione “libera”.

Teoricamente, la graduale caduta dello yuan ha anche lo scopo di avvicinare la valuta cinese al dollaro per preparare il terreno ad una “liberazione” dello yuan, permettendogli di fluttuare come la maggior parte delle altre valute. Il minor valore della moneta cinese ha l’effetto di ridurre l’impatto dei dazi doganali (ancora in vigore) imposti da Donald Trump e di rendere i prodotti cinesi meno costosi per gli acquirenti che utilizzano altre valute. Il deprezzamento della moneta è quindi una strategia rischiosa ma potenzialmente redditizia di fronte al disastro economico provocato dal coronavirus.

Nel 2018 i trader del Forex insistevano sul fatto che la soglia critica per il cambio USD/CNH fosse a 7. Tale livello è stato ampiamente superato – raggiungendo il tetto di 7,24 – al culmine della crisi commerciale tra Washington e Pechino. Si ritiene che il superamento di questa soglia possa portare a una fuga di capitali dalla Cina e seminare scompiglio nei mercati mondiali in crescita. Lo yuan è stato un elemento di stabilità finanziaria per tutti i mercati. Nel 2015, ad esempio, il suo indebolimento è stato considerato una causa potenziale di deflazione globale.

Washington non si è ancora pronunciata sulla questione, ma c’è un rischio crescente che i movimenti della valuta cinese di questo mese provochino recriminazioni da parte degli Stati Uniti, anche se la banca centrale cinese (PBOC) ha mantenuto una posizione di attesa. Tuttavia, il continuo deprezzamento dello yuan potrebbe alimentare i timori di una guerra valutaria che nessuno vuole contemplare. Gli Stati Uniti hanno sempre creduto che lo yuan sia già abbastanza svalutato così com’è. È vero che dopo 10 anni di apprezzamenti che hanno raggiunto l’apice nel 2014, lo yuan da allora si è solo deprezzato rispetto al dollaro.

Nel complesso, le conseguenze di questa offensiva cinese sull’economia mondiale saranno probabilmente significative e negative. Il calo dello yuan peserà prima di tutto sui prezzi delle materie prime denominate in dollari. Questi sono già depressi a causa del rallentamento cinese, dell’eccesso di capacità produttiva nel Regno di Mezzo e delle tensioni commerciali.  Di conseguenza, le economie che dipendono da queste materie prime ne risentiranno. Ciò vale soprattutto per l’Australia, il Canada, i Paesi del Medio Oriente e il Brasile. Il caso del gigante sudamericano è particolarmente preoccupante, in quanto la recessione del Brasile sta minando altre economie latinoamericane, tra cui alcune molto solide (quella dell’Uruguay, ad esempio).

Un (probabile) continuo calo dello Yuan potrebbe mietere un’altra vittima importante: l’Eurozona. In effetti, una svalutazione accentuerebbe le pressioni deflazionistiche, il che sarebbe molto preoccupante per la BCE che cerca di portare su l’inflazione. Sarebbe quindi teoricamente necessario avviare una politica di acquisto di asset molto più sostanziale per far scendere l’euro. L’Eurozona è quindi costretta ad essere più propensa ad impegnarsi in una profonda riflessione sulla sua valuta e sulla futura politica monetaria, proprio come sta facendo la Federal Reserve.

Gli analisti dovrebbero continuare a prestare attenzione alle fluttuazioni valutarie, storicamente un indicatore principale molto importante. L’ulteriore declino dello yuan potrebbe spingere i mercati finanziari verso una volatilità ancora più ampia e punire severamente le economie emergenti. 7 sembra essere il numero fatidico.