2020: “Balliamo”

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Riassumendo le nostre prospettive macro, vediamo un rischio di recessione inferiore rispetto al mercato. L’azione della banca centrale dovrebbe rimanere un fattore positivo per gli investitori, dato che l’inflazione continua a deludere, inducendo una politica monetaria accomodante. Relativamente al nostro framework di asset allocation attiva, che mira a tracciare i principali fattori di rischio che guidano i rendimenti degli attivi nel lungo termine, cos’è cambiato per il 2020 rispetto a un anno fa? Nonostante il repricing del rischio recessione, la diminuzione del sentiment di risk-off e valutazioni meno interessanti per gli asset orientati alla crescita, la nostra asset allocation tattica rimane di supporto per questi ultimi, a seguito di: 1) una view positiva sull’azionario e 2) un atteggiamento prudente sulle coperture classiche come duration e metalli preziosi. Ciononostante, il numero e l’ampiezza dei fattori positivi che ci hanno spinto all’inizio di settembre ad adottare un bias verso i growth assets nei nostri portafogli, sono diminuiti dopo un rally di tre mesi consecutivi.

In poche parole:

  • Anche se l’economia globale sta rallentando da 15 mesi, non crediamo che ci sia una recessione all’orizzonte.
  • Con l’inflazione che non si trova da nessuna parte, ci aspettiamo che le banche centrali rimangano accomodanti, offrendo un sostegno continuo ai mercati finanziari.
  • Mentre le prospettive per gli asset orientati alla crescita rimangono positive, le valutazioni sono fonte di preoccupazione.
  • All’interno dei portafogli multi-asset, la nostra preferenza va all’azionario e al credito, ma con una discriminazione molto maggiore rispetto al passato.

Quali sono i rischi?

Dal punto di vista della valutazione, gli investitori tendono ad essere nervosi quando si trovano di fronte a un rapporto P/E in aumento e ad un’elevata crescita degli utili prevista per il prossimo anno. Dopo un rally di tre mesi, è chiaro che il fattore valutazioni non è più un supporto per gli asset orientati alla crescita. Tuttavia, il rischio, a nostro avviso, non proviene dal numeratore dell’equazione (flussi di cassa futuri). Il rischio principale è nel denominatore (il fattore di attualizzazione, ossia i tassi d’interesse). Dal 2010, i rendimenti assoluti della maggior parte degli attivi sono stati incrementati da iniezioni di liquidità e poi da tassi più bassi, non da un periodo di eccezionale espansione. La sensibilità alla duration sta ora aumentando ovunque, dai prodotti a reddito fisso fino alle azioni, al private equity e al private debt. I tassi bassi hanno un doppio impatto sulle attività a reddito non fisso. In primo luogo, migliorano il flusso di cassa atteso attraverso il fattore di sconto. Secondariamente, riducono la probabilità e l’impatto dei rischi di coda. Semplici numeri confermano questa relazione: tra il 1988 e il 2009, la performance media annua dell’indice S&P 500 Total Return è stata superiore del 7,1% ai tassi Fed. Dal 2010, lo è stata del 13%. Osserviamo un’analoga spinta extra nei rendimenti azionari statunitensi superiori al PIL o all’inflazione americana. A nostro avviso, questa “convessità implicita” pone un chiaro rischio per il futuro in caso di significativa espansione. Gli studi della Fed di NY sulle regole di Taylor e sui tassi d’interesse naturali dimostrano che l’attuale politica della Fed è molto accomodante rispetto alla propria storia. La situazione è simile in Giappone, Europa e Regno Unito. Pertanto, se gli asset orientati alla crescita sono sostenuti da bassi tassi di interesse, allora i tassi più alti sono il rischio più ovvio, non i tassi più bassi, e questi si verificherebbero in caso di rallentamento del mercato.