Geopolitica. Il Sahel e gli attori esterni: la Turchia

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Prosegue la serie di articoli, con le posizioni sul Sahel di Paesi come gli Stati Uniti d’America, la Cina, la Russia e la Turchia.

— di Marco Rosichini

Il Sahel, “bordo”, è una fascia di territorio dell’Africa subsahariana comprendente sei Stati: la Mauritania, il Mali, il Burkina Faso, il Niger, il Ciad ed il Sudan.

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La questione degli aiuti allo sviluppo per l’Africa

Storicamente il 1960 venne definito come “Year of Africa” conseguentemente ai sentimenti panafricani emersi a seguito dell’indipendenza di circa settanta Paesi del continente. Secondo taluni, forzando un parallelismo storico, anche il 2005 può essere definito nel medesimo modo. Difatti, l’anno del trentunesimo G8 ospitato dal Primo Ministro Inglese Tony Blair al Gleneagles Hotel nella piccola località di Auchterarder in Scozia riuniva, oltre ai leader delle principali potenze globali, anche i rappresentanti di Algeria, Etiopia, Ghana, Nigeria, Senegal, Sud Africa e Tanzania.  Tra le priorità la situazione climatica con il riscaldamento globale e, per l’appunto, la questione degli aiuti allo sviluppo per l’Africa. Questa era incentrata su due leve fondamentali: il commercio internazionale e la cancellazione del debito.

Il ruolo della Turchia

La Turchia, come le potenze occidentali ed asiatiche, intese, già a partire dal 2005, concepire una politica multidimensionale, contraddistinta da legami politici ma soprattutto economici, come parte di un’agenda più ampia di estensione della propria influenza politica, diplomatica e securitaria in Africa coerentemente ad un approccio definibile come “neo-ottomano”.

Il leader politico che impresse senza dubbio un’accelerazione rispetto a questo nuovo corso di politica estera è stato senza dubbio Recep Tayyip Erdoğan. Già Sindaco di Istanbul dal 1994 al 1998, Primo Ministro dal 2003 al 2014 e attualmente Presidente della Turchia, Erdogan, appartenente al partito nazional-conservatore Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), ha favorito l’inserimento della Turchia nel continente africano costruendo in primis relazioni politiche con i leader dei principali Paesi; in secondo luogo permettendo l’accesso da parte delle impresi nazionali a nuovi mercati esteri; infine ( non per ordine di importanza ) proiettando la Turchia come custode della cultura islamica nei territori africani a trazione musulmana. I primi due punti sono corroborati dalla moltiplicazione del numero di ambasciate nel continente, dalla crescita degli accordi bilaterali e, soprattutto, dal fatto che gli scambi commerciali negli ultimi vent’anni sono quasi quintuplicati, passando dai 5,4 miliardi di dollari nel 2003 a 26 miliardi di dollari nel 2021, con l’obiettivo di raggiungere i 50 miliardi entro il 2023.

Destabilizzante rispetto alle tradizionali potenze occidentali, ma in antitesi con gli Stati arabi

Ponendosi quale attore geopolitico destabilizzante rispetto alle tradizionali potenze occidentali la Turchia si inserisce al contempo in antitesi con gli Stati arabi, in particolare quelli del Golfo, in una zona così cruciale come quella del Sahel dal punto di vista delle risorse minerarie e caratterizzata dalla sistematica insorgenza di insurrezioni jiadiste. La componente securitaria e l’apporto turco a questa tramite cooperazioni di stampo multilaterale è comprovata dai legami stabiliti con paesi come il Niger, il Mali e il Ciad. Ad esempio, relativamente al primo caso, con l’elezione di Mohamed Bazoum Ankara ha rafforzato la partnership strategica con programmi di intelligence sharing, capacity building e addestrando militarmente le forza armate nigeriane. Tutto ciò a dimostrazione del fatto che la Turchia, inserendosi direttamente nelle dinamiche securitarie garantendo la fornitura di armamenti e di competenze militari, condizioni la dimensione politica ed economica a suo vantaggio.

In conclusione, la proiezione della Turchia nel continente africano e più specificatamente nella zona saheliana corrisponde a motivazioni di hard power in riferimento a ragioni strategico-militari, di soft power nella misura in cui appare come il modello di riferimento dell’Islam politico nella regione ed ,infine, per ragioni di carattere interno in considerazione del fatto che l’obiettivo di Erdogan consiste nello sradicare il movimento Hizmet di Fetullah Gülen annoverato tra le organizzazioni terroristiche a seguito del tentato colpo di stato del 2016.