Geopolitica. Il Sahel e gli attori esterni: il ruolo della Russia

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Prosegue la serie di articoli, con le posizioni sul Sahel di Paesi come gli Stati Uniti d’America, la Cina, la Russia e la Turchia.
Il Sahel, “bordo”, è una fascia di territorio dell’Africa subsahariana comprendente sei Stati: la Mauritania, il Mali, il Burkina Faso, il Niger, il Ciad ed il Sudan.
Qui il link al precedente articolo sugli Stati Uniti con un’introduzione sugli attuali assetti strategici
Qui il link al precedente articolo sulla Cina

Il territorio saheliano

Come ricordato negli articoli precedenti il territorio saheliano è soggetto ad una power politics tra le maggiori potenze mondiali. Un Paese che assume un ruolo chiave nell’area è la Russia, sebbene, molto spesso, la questione dell’influenza russa in Africa finisca nel dimenticatoio. D’altronde, l’opinione pubblica internazionale è da mesi focalizzata sulla questione ucraina e quindi sulle mire espansionistiche che Putin persegue nel tentativo di recuperare territori fondamentali per un avanzamento militare e strategico nel cuore dell’Europa.

I rapporti tra la Russia e la zona saheliana

La storia dei rapporti tra la Russia e la zona saheliana post-Guerra Fredda ritornò prepotentemente sulla scena nel 2019 quando al Summit di Sochi si assistette al ritorno della tensione tra la Russia e le potenze Occidentali. Organizzato da Vladimir Putin e dall’omologo egiziano Abdel Fattah al- Sisi il Summit riuniva 40 leader africani con l’obiettivo di istituzionalizzare le relazioni tra la Russia e il continente africano cercando di spezzare l’oligopolio occidentale ed asiatico di spartizione delle risorse minerarie del continente. Come ricordava lo stesso Putin il giorno prima dell’inizio del Forum in un’intervista alla Tass, l’agenzia ufficiale di stampa russa, il Paese erede della monarchia dei Romanov si impegnava a favorire lo sviluppo economico del continente africano con investimenti di miliardi di dollari in cinque anni ed inoltre sposava il principio di diritto internazionale di non ingerenza negli affari interni garantendo di non voler partecipare ad un nuovo processo di spartizione delle ricchezze africane. Questa strategia di distanziamento rispetto all’antica pratica coloniale europea era ben vista e percepita dall’opinione pubblica africana che vedeva nella Russia un partner politico affidabile in grado di contrastare gli interessi neocoloniali francesi e l’affermazione di gruppi terroristici islamici.

Il Summit di Sochi

In sintesi, il Summit di Sochi sancì, sullo sfondo di una strumentalizzazione del continente africano, il terreno fertile per una competizione geopolitica della Russia con l’Occidente. Questa competizione si basava su tre direttrici fondamentali: l’hard power, la vendita di armi e l’utilizzo di contractor privati. Per quanto riguarda quest’ultimo punto due furono gli eventi significativi successivi al Summit: da un lato il coinvolgimento russo nei massacri avvenuti in due regioni del Mali (Moura e Mopti); dall’altro l’intensa attività del Gruppo Wagner, una compagnia paramilitare della Federazione Russa sottoposta a sanzioni da parte dell’UE e riconducibile a Yevgeny Prigozhin, nel dispiegamento di istruttori militari per contrastare gruppi terroristici di matrice jiadista. In tal senso furono particolarmente rilevanti i vari accordi di cooperazione in materia di lotta al terrorismo stabiliti con Ciad e Niger (2017), Burkina Faso (2018) e lo stesso Mali (2019) orientati ad un’assistenza militare e, soprattutto, alla formazione e all’approvvigionamento di equipaggiamenti militari da parte della Russia.

In conclusione, sebbene attualmente l’attivismo cinese monopolizzi la presenza straniera sul continente la Russia è una potenza che aspira ad avere un ruolo da attore comprimario non solo tramite la conclusione di accordi energetici e di sfruttamento delle risorse minerarie ma, soprattutto, sostenendo, con armi e mercenari, le élite militari nei frequenti cambi di governo.