Geopolitica. Il Sahel e gli attori esterni: la dimensione economica della Cina

Marco Rosichini -

La presenza della Cina nel contesto saheliano è legata specificamente agli interessi di natura economica che il “paese di mezzo” persegue sostenendo la propria domanda interna con l’acquisto di materie prime di natura energetica e mineraria. Nella figura sottostante sono illustrati alcuni dati che avvalorano come la Cina, in termini di import ed export, si presenti quale miglior partner commerciale dell’Africa.

Figura 1: Import ed Export Cina e Africa (2002-2021)

Tuttavia, il nuovo corso della politica estera cinese, scandito negli anni dalla open door policy e dalla Belt and Road Initiative (BRI), ha incentrato la propria attenzione sul fattore della sicurezza internazionale. A tal proposito la Cina ha compreso di non potersi sottrarre dall’esercizio di una funzione di “moral suasion”, rispetto ai tradizionali partner commerciali del continente, nella competizione geostrategica dell’area.

Open door policy

In principio fu la open door policy messa in atto da Deng Xiaoping verso la fine del 1978. Questa nuova strategia di sviluppo economico, scaturita a seguito della Terza Sessione Plenaria dell’XI Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, fondava la propria essenza di policy sulla leva dei capitali e delle tecnologie straniere come volano per la crescita economica. La ratio di questa apertura al mondo globale, pur nella cornice di un assetto socialista della società, era facilmente intuibile. Prima il cosiddetto grande balzo in avanti e, successivamente, la risposta al fallimento di questo con la Rivoluzione Culturale promossa da Mao Zedong a partire dal 1966, avevano di fatto ridotto l’economia cinese in una condizione di profondo dissesto economico. In merito a ciò basti pensare come i redditi cinesi ordinari fossero di gran lunga inferiori rispetto alle altre economiche asiatiche. Nella sostanza la open door policy inaugurata da Deng Xiaoping si inseriva nel quadro di una radicale inversione di rotta della crescita economica facendo leva sull’apertura dei mercati. I risultati di questa politica, a primo impatto ardita, caratterizzarono positivamente la prima metà degli anni ’80 quando il Paese sperimentò una forte e stabile crescita economica. Gli episodi di Piazza Tienanmen del 1989 segnarono una temporanea battuta d’arresto per la crescita economica il cui livello, tuttavia, tornò a stabilizzarsi nella prima metà degli anni ’90 al punto tale che nel 1998 il reddito pro capite cinese risultava ben 14 volte più grande rispetto a quello del 1980.

Figura 2: Crescita del PIL pro capite dal 1960 al 2016


Lo sviluppo integrale della open door policy avvenne nel 2001 quando le autorità cinesi, attuando il Tenth Five-Year Plan (2001-2005), estesero ulteriormente il concetto strategico di crescita economica indirizzando la propria potenza politica ed economica fuori dai confini della stessa Cina. Segnatamente, in riferimento al caso africano, l’azione cinese si tradusse nella formulazione di una strategia che differiva dal Washington Consensus americano basato sul libero mercato e su una liberalizzazione generale dell’economia. Difatti, l’approccio alla cooperazione di Pechino non si basava tanto sull’elargizione “a pioggia” di aiuti (a cui dovevano peraltro seguire sostanziali mutamenti dell’indirizzo interno di politica economica), bensì su forme di partenariato commerciale finalizzate ad uno sviluppo autonomo dei singoli paesi africani. Questa opzione preferenziale di politica estera, ribadita nel 2021 dal China’s International Development Cooperation in the New Era, ha ad oggi, quale miglior strumento nella costruzione di accordi commerciali e di scambio, la Belt and Road Initiative. Lanciata ufficialmente da Xi Jinping nel 2013 essa, invero, rappresenta una continuazione di principi già elaborati in precedenza nella misura in cui l’obiettivo principale consiste nello sviluppo delle infrastrutture di trasporto e logistica per espandere il commercio, favorendo l’afflusso di investimenti internazionali ed aumentando gli sbocchi commerciali per le produzioni cinesi. Se si compara ad esempio il flusso degli investimenti in termini di stock del Dragone pre/post BRI si può notare come questo nell’anno 2016 sia quasi triplicato rispetto al 2011, a fronte di un inalterato afflusso di investimenti da parte dei Paesi Occidentali.

Figura 3: Maggiori investitori nel continente africano

Tuttavia, come rilevano gli addetti ai lavori sul tema, la Belt and Road Initiative non risulta sufficiente, non configurandosi quale game – changer per l’industrializzazione del continente africano. La Cina, per realizzare il suo obiettivo strategico, deve finanziare lo sviluppo infrastrutturale supportando attivamente la realizzazione dell’ African Continental Free Trade Area (AfCFTA), creata nel 2018 dall’ African Continental Free Trade Agreement,  con il fine di creare un singolo mercato per l’intero continente. Il recente interesse dei Paesi Occidentali nei confronti dello sviluppo infrastrutturale del continente, in vista di un bilanciamento dell’egemonia commerciale cinese, rinnova ed amplia le possibilità dell’Africa di porsi come un singolo attore continentale unitario in grado di relazionarsi, commercialmente e politicamente, sia ad Est che ad Ovest.