FRAME AM: 2026, come non arrivare impreparati alle incognite del nuovo anno

Michele De Michelis, responsabile investimenti di Frame Asset Management -

Eccoci giunti alla fine di questo pazzo 2025 che, salvo catastrofi finali, ha regalato agli investitori azionari ottime performance, visti i livelli raggiunti praticamente da tutti i mercati equity del mondo.

Come troppo spesso mi capita di commentare ultimamente, se fossi stato su un’isola deserta negli ultimi dodici mesi, osservando oggi il livello di quotazione dell’indice S&P 500 (che rimane sempre il primo indice da controllare), penserei di trovarmi di fronte a un anno eccezionale sotto tutti i punti di vista: macroeconomico, microeconomico e geopolitico. Il tutto, peraltro, dopo un 2024 già di per sé notevole.

Il dato che più mi stupirebbe, tuttavia, sarebbe il prezzo dell’oro, vicino ai 4.400 dollari l’oncia, con una performance prossima al 65%. Un movimento sorprendente, considerando che il metallo giallo tende a brillare soprattutto nei momenti di grande incertezza, più che quando tra gli operatori domina l’euforia.

Insomma, sulla carta, un anno eccezionale per quasi tutte le asset class.
Eppure non è stato un anno semplice, anzi: non sono mancati episodi che in più occasioni hanno fatto temere il peggio.

Come dimenticare il “Liberation Day”, quando Trump annunciò al mondo intero le percentuali dei dazi che avrebbe applicato? In meno di tre giorni l’indice S&P 500 arrivò a perdere circa il 20%. Ancora più impressionante fu però la gestione — e talvolta la manipolazione — delle notizie nei giorni successivi, che portarono a un rimbalzo dei listini con la stessa violenza con cui erano crollati. E tanti saluti alle regole che dovrebbero guidare i presidenti degli Stati Uniti per evitare speculazioni e conflitti di interesse personali.

Per non parlare dei continui tentativi di pressione sul presidente della Fed, che nel corso del 2025 ha comunque tagliato i tassi quattro volte, per un totale di un punto percentuale. Secondo “The Donald” avrebbe dovuto fare molto di più, nonostante un’economia complessivamente in buona salute, un mercato del lavoro resiliente e un’inflazione ancora appiccicosa, che solo nell’ultima rilevazione sembra aver iniziato a perdere momentum.

Con questi chiari di luna, provare a fare previsioni per il 2026 diventa estremamente difficile. Oggettivamente potrebbe accadere di tutto, non solo sui mercati azionari, ma anche su quelli valutari, obbligazionari e, perché no, delle commodities.

Oggi, ancor più che in passato, diventa fondamentale porsi una domanda semplice ma cruciale: che tipo di investitore sono?
Ovvero: quale livello di volatilità sono realmente in grado di sopportare prima di farmi prendere dal panico?

La storia ci insegna che dopo anni eccezionali possono arrivare correzioni che non sono necessariamente brusche come quelle viste ad aprile o durante il periodo Covid, ma anche lente e logoranti, come accadde nel 2022.

Ricordo ancora quando, nel dicembre 2002, mostravo ai miei clienti — che si lamentavano per le performance negative dei propri portafogli dopo due anni di bear market e un meno 50% del Sp 500— cosa fosse successo nel periodo post1973–1975.

Attenzione: non sto dicendo che il mercato nel 2026 crollerà. Non ho però la minima idea di dove possa andare. Ed è proprio per questo che oggi, più che cercare di indovinare il prossimo movimento, ha più senso concentrarsi sulla preparazione.

Un po’ come quando si va in montagna: non si parte sperando che il tempo resti bello, si parte attrezzati per ogni eventualità. Perché il vero rischio, sui mercati come nella vita, non è ciò che non possiamo controllare, ma arrivare impreparati quando il sentiero diventa improvvisamente più ripido.