Open-es, la “piazza digitale” dell’ESG che aiuta le filiere italiane a scambiarsi i dati
Una piattaforma gratuita e “di sistema” per collegare transizione e competitività: Open-es nasce con l’idea di ridurre il caos di questionari e richieste ESG che oggi piove sulle imprese, soprattutto PMI, da parte di clienti, capofiliera e banche. Il meccanismo ruota attorno a una Carta d’identità ESG che l’azienda costruisce e può condividere, con l’obiettivo di rendere le informazioni più comparabili e riutilizzabili lungo la catena del valore.

Nel racconto dei promotori e di parte della stampa specializzata, il punto è proprio “fare sistema”: una sola base dati e un percorso in step (misurazione, priorità, miglioramento), pensati per essere sostenibili anche per chi ha meno struttura interna. Wired, ad esempio, ha messo l’accento sulla dimensione di accompagnamento e sull’idea di trasformare la sostenibilità da adempimento a leva competitiva.
La domanda chiave però è: facilita davvero collaborazione e scambio dati tra filiere, fornitori, banche e clienti?
In parte sì, soprattutto quando la piattaforma si integra con strumenti già usati dalle imprese. L’accordo con SACE (integrazione tra Open-es e SACE ESG Hub) va in questa direzione: usare dati e profili ESG per orientare supporto e finanza alle imprese, promettendo meno duplicazioni e più continuità informativa.
Sul lato procurement e supply chain, l’integrazione annunciata con SAP Ariba punta a collegare la valutazione ESG dei fornitori ai processi di vendor risk management, cioè a far “viaggiare” i dati dentro le piattaforme operative con cui si gestiscono acquisti e rischi.
Anche l’ingresso/partnership con attori tech (Microsoft Italia, SAP) viene letto come un tentativo di spingere interoperabilità e adozione nelle PMI.
I limiti, però, sono reali
Primo: la qualità del dato. Open-es prevede validazioni e, in alcuni casi, verifiche esterne, ma molto dipende da quanto le imprese compilano e aggiornano in modo accurato (e con risorse spesso scarse).
Secondo: l’“effetto rete” non è automatico. Lo scambio dati funziona davvero quando molti attori della stessa filiera, dai capofiliera, ai fornitori e alle banche, adottano lo stesso linguaggio e gli stessi processi; altrimenti resta un profilo ESG in più da gestire, non quello che sostituisce gli altri.
Terzo: governance e riservatezza. Qualunque piattaforma che centralizza informazioni sensibili deve chiarire bene chi vede cosa, per quale finalità e con quali tutele, altrimenti la condivisione rischia di fermarsi per prudenza (soprattutto tra PMI e subfornitori).

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