“Ugly memes” e criptovalute: quando l’ironia diventa strumento di manipolazione finanziaria
La tesi del Financial Times e il fenomeno dei memecoin tra marketing virale e rischi speculativi
Negli ultimi mesi il Financial Times ha attirato l’attenzione su una dinamica per certi versi inquietante del mercato delle criptovalute: non sono solo i fondamentali finanziari a guidare l’interesse degli investitori, ma sempre più spesso meme offensivi e contenuti provocatori su social media come Instagram e X spingono l’attenzione su memecoin emergenti, con l’obiettivo di gonfiarne il valore per poi abbandonarli in un classico schema “pump-and-dump”. Secondo l’analisi del giornale, meme creati ad arte – spesso brutti, disturbanti o caricaturali – sono parte integrante di campagne per attirare traffico e speculazione intorno a criptovalute di basso valore, portando a vendite speculative e a possibili truffe.
Il pezzo, firmato da Adam Aleksic, descrive una serie di personaggi generati con strumenti di intelligenza artificiale e diffusi sui social con immagini e video provocatori: figure come “George Droyd” o “Kirkinator”, che giocano su riferimenti a persone reali e spesso contengono elementi razzisti o antisemiti, collegati al lancio e alla promozione di memecoin poco più che scherzi digitali. L’obiettivo dichiarato non è la costruzione di valore reale, ma la creazione di engagement sui social e l’aumento temporaneo del prezzo del token collegato al meme. Chi lancia questi asset speculativi cerca di sfruttare algoritmi di piattaforme come Meta o X, che premiano contenuti ad alta visibilità, per far crescere l’interesse e quindi il prezzo prima di vendere (rug pull) e lasciare gli ultimi compratori con perdite.
Il fenomeno dei memecoin
Per capire perché questi meme influenzano le vendite di criptovalute è utile ripercorrere brevemente il fenomeno dei memecoin. Coniati a partire dall’idea di monete nate per scherzo o per gioco, come il celebre Dogecoin originariamente nato come parodia nel 2013 e poi trasformato in una crypto con comunità attiva, i memecoin si basano su dinamiche di cultura internet e viralità piuttosto che su fondamentali economici solidi.
Queste criptovalute spesso non hanno un uso pratico reale oltre alla speculazione: il valore è legato quasi esclusivamente alla domanda creata dalla comunità online, alla popolarità del meme e alla narrazione virale che lo circonda. Per capirci, la capitalizzazione di certi memecoin può salire rapidamente se un contenuto diventa virale, ma così rapidamente può anche crollare se l’interesse svanisce o se gli sviluppatori vendono lotti troppo grandi.

Il fenomeno descritto dal Financial Times porta queste dinamiche a un livello più oscuro: non è più una “cultura del meme” spontanea a influenzare i prezzi, ma strategie deliberate che sfruttano la psicologia degli utenti e la natura degli algoritmi social per generare profitto a spese di investitori inesperti.
Critiche e preoccupazioni: non tutti i meme sono innocui
Diversi osservatori e analisti di mercato sottolineano come la crescita dei memecoin e l’uso di meme provocatori non sia priva di rischi. In passato, lancio di token legati a figure pubbliche o eventi virali ha generato perdite consistenti per gli investitori, come nel caso ricordato da Fortune ovvero il memecoin lanciato da Donald Trump all’inizio del 2025, che ha rapidamente perso valore dopo un picco iniziale e ha comportato perdite aggregate di miliardi di dollari per i detentori retail, mentre una percentuale significativa delle commissioni è andata ai creatori o promotori.
Queste esperienze ricordano che, anche quando meme e cultura pop sembrano innocui o “divertenti”, l’ecosistema cripto può essere terreno fertile per schemi speculativi sofisticati. La viralità sui social non garantisce un progetto solido, né protegge gli investitori dall’alta volatilità o da possibili manipolazioni del mercato.
Opinioni di esperti e regolatori
Al di là dell’analisi culturale o giornalistica, esperti finanziari richiamano l’attenzione sulla necessità di una regolamentazione più chiara per proteggere i piccoli investitori. Schemi basati su hype artificiale – che si tratti di meme o di altro – sono difficili da monitorare per le autorità proprio perché si intrecciano con la cultura digitale e non rientrano facilmente nelle categorie tradizionali di abuso di mercato. Questo crea uno spazio ambiguo in cui la speculazione si sviluppa facilmente.
Regolatori come la SEC negli Stati Uniti e l’ESMA in Europa stanno infatti valutando regole più stringenti per attività promozionali legate a asset digitali, inclusi incentivi su piattaforme social, richieste di divulgazione di rischio più chiare e misure contro la diffusione di contenuti che spingono alla speculazione senza adeguate informazioni.
Una bolla culturale o un rischio reale per i mercati?
L’opinione espressa dal Financial Times sulla diffusione di “ugly memes” come strumento per guidare vendite di criptovalute va oltre un semplice commento culturale: rappresenta una critica implicita a un mercato che sta sempre più intrecciando finanza e cultura internet, talvolta in modi moralmente e finanziariamente discutibili.
Non si tratta solo di meme divertenti che spingono una moneta, ma di strumentalizzazione deliberata di contenuti virali per creare schemi speculativi. Per gli investitori e per chi segue il mercato delle cripto, questo solleva domande concrete su trasparenza, rischio e responsabilità digitale. In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale facilita la creazione di contenuti virali e i social premiano l’engagement a tutti i costi, la distinzione tra intrattenimento e strumento finanziario non può essere trascurata.

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