Al via l’Arbitro per le Controversie Finanziarie

Rosaria Barrile -

Pubblicate le prime decisioni dell’Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF), l’organismo istituito dalla Consob per la risoluzione delle controversie tra investitori “retail” e intermediari

E’ finalmente operativo il nuovo organismo di tutela dei risparmiatori, l’Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF), nato a gennaio di quest’anno a seguito dell’approvazione del decreto legislativo n.130 del 2015 (in attuazione della direttiva comunitaria 2013/11/UE).
A inizio giugno sono state infatti pubblicate le prime decisioni dell’organismo istituito dalla Consob per la risoluzione esclusivamente delle controversie in materia di investimenti tra risparmiatori e intermediari finanziari in materia di violazione degli obblighi di diligenza, correttezza, informazione.
Nella prima decisione, adottata lo scorso 5 giugno, l’Arbitro, che ricalca da vicino il funzionamento del corrispondente Arbitro bancario finanziario già operativo da anni, ha sanzionato una banca che non ha trasmesso un ordine di vendita in modo “corretto e tempestivo”, privando così il cliente della possibilità di vendere, al momento opportuno, le azioni in suo possesso.
A nulla sono valse infatti le giustificazioni della banca che, pur confermando la mancata esecuzione dell’ordine di vendita , avrebbe attribuito il fatto “solamente” un problema di natura organizzativa e quindi non sanzionabile per legge.

Il fatto
Con reclamo presentato il 9 novembre 2015 e poi nuovamente inviato il 17 dicembre il risparmiatore, ha inviato alla propria banca un reclamo lamentando la non corretta trattazione di un ordine di vendita di strumenti finanziari inseriti nel proprio portafoglio titoli, disposto nel luglio 2014: nel dettaglio il risparmiatore ha denunciato la non corretta trattazione di un ordine di vendita riguardante n. 1.182 azioni emesse dalla stessa banca.
Come più ampiamente rappresentato dinanzi all’ACF, in particolare l’investitore si lamentava del fatto che, come risultava da notizie di stampa e come ammesso anche dai vertici aziendali nell’assemblea del 2016, la banca avrebbe gestito gli ordini di vendita impartiti dagli azionisti in maniera irregolare, non rispettando un criterio di priorità cronologica, operando così trattamenti discriminatori a danno di clienti.
In sintesi la banca avrebbe consentito ad alcuni di essi, e specialmente a quelli che erano detentori di pacchetti cospicui (i cosiddetti “grandi azionisti”), di liquidare l’investimento riacquistando le azioni, mentre avrebbe negato tale possibilità ad altri. Il cliente chiedeva pertanto il risarcimento del danno da lui quantificato in 73.756,80 euro e pari alla differenza tra il valore unitario attuale ( 0,10 per azione) eil corrispettivo di 62.50 euro per azione che avrebbe potuto realizzare se l’intermediario, trattando correttamente gli ordini e senza operare “scavalcamenti”, avesse proceduto, a tempo debito, al riacquisto dei titoli così come si era impegnato a fare all’atto dell’emissione.
Insoddisfatto dell’esito del reclamo, a cui la banca ha risposto il 1° marzo 2016, l’investitore si è rivolto all’Arbitro per le controversie finanziarie.

La decisione
Per l’ACF la domanda cliente è, come si dice in gergo tecnico, “meritevole di accoglimento”.
In pratica per l’Arbitro, le carenze organizzative della banca, che ha trasmesso l’ordine in ritardo, sono tali da configurare un inadempimento agli obblighi contrattuali che la banca aveva nei confronti della clientela (ai sensi dall’art. 21, primo comma, lett. d), del Testo unico finanziario ai sensi della quale l’intermediario è obbligato a dotarsi di “procedure (…) idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e delle attività”).
La banca inoltre non ha provato davanti all’Arbitro di aver adottato assetti organizzativi adeguati a permettere una esecuzione diligente e corretta del servizio di investimento.

Il rimborso del danno
Secondo l’ACF la mancata adozione di un sistema di procedure tale da assicurare una tempestiva e corretta esecuzione dell’ordine di vendita ha sicuramente pregiudicato il cliente. Anche se infatti come affermato dalla banca, “essa non aveva alcun obbligo, come emittente e dunque sul piano societario, di riacquistare le azioni emesse, e che anzi non era più neppure normativamente autorizzato a farlo, è tuttavia indiscutibile che la circostanza che l’ordine di vendita non sia stato comunque neppure processato e/o auspicabilmente eseguito ha privato il cliente anche della possibilità, pur ridotta considerata la tendenziale illiquidità del titolo, di vendere a terzi le azioni che deteneva in portafoglio”.
In virtù di questa considerazione, l’ACF ha quindi deciso di liquidare in via equitativa il danno che consiste in una perdita della chance per il ricorrente di poter eventualmente liquidare l’investimento, che è derivata dalla circostanza che l’intermediario non risulta aver posto in essere iniziative adeguate per una corretta e tempestiva trattazione dell’ordine di vendita; una chance che si ritiene vada correlata al periodo in cui è stato inoltrato il predetto ordine di vendita (luglio 2014).
L’ACF quindi, in accoglimento del ricorso, ha dichiarato la banca tenuta a corrispondere al ricorrente, a titolo di risarcimento danni, la somma di 44.206,80 euro, calcolata prendendo a base il 60% del controvalore dell’investimento, al netto dell’attuale valore unitario delle azioni ( 0,10 euro ) per il numero di azioni (1.182) detenute dal ricorrente, e ha fissato il termine per l’esecuzione in trenta giorni dalla ricezione della decisione.


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