Man Group – Inflazione Usa, è il momento di fare attenzione: i due rischi da guardare
Anche se le banche centrali stanno abbassando i tassi, l’inflazione non è ancora stata debellata. Per quanto riguarda l’inflazione statunitense ci sono in particolare due rischi che ci preoccupano:
1. Lo scenario in caso di vittoria di Donald Trump alle prossime elezioni USA
La prima preoccupazione riguarda nello specifico i dazi sulle importazioni statunitensi proposti da Trump: 60% sui beni cinesi e 10% su altre importazioni. L’entità di questi dazi sarebbe di gran lunga superiore a quelli implementati nel 2018. L’impatto stimato sull’inflazione statunitense, secondo la ricerca di una banca d’investimento, è di circa l’1% in più sul CPI nel primo anno. I dazi avrebbero probabilmente anche un impatto negativo sulla crescita economica degli Stati Uniti. I rendimenti più elevati dovuti all’aumento dell’inflazione avrebbero effetti negativi già di per sé, ma se a questo si aggiunge un impatto negativo sulla crescita, ecco che potrebbe materializzarsi lo scenario che ci preoccupa di più, quello di una stagflazione in cui scendono sia le obbligazioni che le azioni. Un simile scenario sarebbe negativo per i portafogli tradizionali 60/40 e per le strategie trend following, molte delle quali, oltre ad essere “lunghe” sulle azioni, lo sono anche sulle obbligazioni come mai si è verificato negli ultimi 3 anni.
Figura 1: Il modello CTA di UBS segnala le più alte esposizioni obbligazionarie lunghe dal 2021

Fonte: UBS.
2. L’escalation del conflitto in Medio Oriente
Il secondo rischio per l’inflazione statunitense viene dalla geopolitica e, in particolare, dall’escalation del conflitto in Medio Oriente. La storia ci insegna che i conflitti nella regione possono avere un impatto iniziale di “risk-off” sui mercati azionari, ma questo è generalmente di breve durata e i prezzi delle azioni si riprendono presto. Un impatto maggiore sui mercati occidentali si ha attraverso il prezzo del petrolio e, in effetti, abbiamo assistito a una certa reazione delle quotazioni del greggio all’intensificarsi delle tensioni tra Iran e Israele. I prezzi dell’energia sono ovviamente molto importanti per l’inflazione, come abbiamo visto in Europa dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e l’impatto sull’inflazione della regione avuto dai prezzi del gas.
Questi scenari vanno a sommarsi alle attuali preoccupazioni di chi teme che l’inflazione non sia ancora del tutto sotto controllo. I dati del CPI di settembre pubblicati la scorsa settimana hanno mostrato un’inflazione sottostante degli Stati Uniti superiore alle aspettative, segnalando una pausa nel recente trend di allentamento delle pressioni sui prezzi. L’indice dei prezzi al consumo core, che esclude cibo ed energia, è aumentato dello 0,3% per il secondo mese consecutivo, interrompendo una serie di rilevazioni più basse. Secondo i calcoli di Bloomberg, il tasso annualizzato a tre mesi è salito al 3,1%, il più alto da maggio.
Allora come dovremmo gestire una fase di rialzo dell’inflazione? I team di gestione del rischio sono impegnati ad analizzare le esposizioni obbligazionarie e a sottoporre i portafogli a stress test in caso di aumento dei rendimenti e dei prezzi del petrolio. Laddove individuiamo livelli di rischio con cui non siamo a nostro agio, ne discutiamo con i gestori di portafoglio e questo può portare a intraprendere azioni per ridurre le esposizioni. Vale la pena ricordare che i rendimenti obbligazionari sono in aumento questo mese; quindi, stiamo assistendo a una riduzione naturale delle esposizioni obbligazionarie lunghe da parte dei trend follower, il che aiuta.

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