In Cina basta il proprio volto come documento ufficiale: tra comodità, sicurezza e nuovi interrogativi
Il volto come documento
Siamo entrati in una fase storica in cui l’identità non passa più necessariamente da carte, tessere o documenti fisici, ma può essere certificata direttamente dal corpo, o meglio dal volto. È il cuore della riflessione proposta dalla rivista Esquire e approfondita anche dai contenuti del sito svizzero di Biosic, azienda specializzata in soluzioni biometriche: il riconoscimento facciale non è più una tecnologia futuristica, ma una realtà già operativa che sta ridefinendo viaggi, sicurezza e rapporti tra individui e sistemi digitali.
Per decenni passaporti e documenti hanno rappresentato l’accesso formale alla mobilità e ai diritti. Oggi, però, la tecnologia corre più veloce delle abitudini. Basta uno sguardo, un’inquadratura, e algoritmi avanzati sono in grado di verificare l’identità in pochi istanti. Negli aeroporti di alcuni Paesi, in particolare in Cina, il riconoscimento facciale è già integrato in molte fasi del viaggio: check-in, controllo bagagli, accesso ai gate. I documenti non scompaiono, ma diventano invisibili, relegati a database che dialogano direttamente con i sistemi biometrici.
Secondo Esquire, questa trasformazione promette una semplificazione radicale: meno code, meno burocrazia, un’esperienza di viaggio fluida e “contactless”. I benefici operativi sono evidenti anche dal punto di vista della sicurezza: i sistemi biometrici riducono il rischio di frodi e falsificazioni, perché il volto è molto più difficile da replicare rispetto a un documento fisico.

Il sito di Biosic
Il sito di Biosic sottolinea come il riconoscimento facciale moderno non si limiti a una semplice comparazione di immagini, ma utilizzi modelli biometrici avanzati, basati su intelligenza artificiale e analisi tridimensionale dei tratti somatici. Questo consente livelli di accuratezza elevati e applicazioni che vanno ben oltre i viaggi: controllo accessi, pagamenti digitali, sicurezza aziendale, servizi pubblici. In questa prospettiva, il volto diventa una chiave universale, capace di integrare identità, autorizzazione e tracciabilità.
Ma è proprio qui che emergono le zone d’ombra. Come evidenzia Esquire, la comodità assoluta ha un prezzo: la concentrazione di dati biometrici estremamente sensibili. Il riconoscimento facciale solleva interrogativi profondi su privacy, consenso e sorveglianza. Chi controlla questi dati? Per quanto tempo vengono conservati? Possono essere riutilizzati per finalità diverse da quelle dichiarate? In contesti come quello cinese, dove la tecnologia è estesa anche alla gestione urbana e al controllo sociale, il rischio di una sorveglianza pervasiva è tutt’altro che teorico.
Massima sicurezza: Biosic opera all’interno di quadri normativi stringenti
L’Europa e la Svizzera seguono un approccio più cauto. Aziende come Biosic operano all’interno di quadri normativi stringenti, che pongono limiti chiari all’uso dei dati biometrici e richiedono trasparenza, sicurezza informatica e proporzionalità. Qui il riconoscimento facciale viene presentato non come strumento di controllo, ma come abilitatore di servizi più sicuri ed efficienti, a patto che siano rispettati diritti fondamentali e tutele individuali.
Il vecchio passaporto cartaceo, dunque, non è ancora destinato a sparire, ma il suo ruolo simbolico sta cambiando. Il volto come documento rappresenta una delle trasformazioni più profonde del nostro rapporto con la tecnologia: meno oggetti, più dati; meno gesti, più algoritmi. Una rivoluzione che promette velocità e semplicità, ma che obbliga società e istituzioni a una riflessione cruciale: fino a che punto il grande pubblico è disposto ad attendere ancora per poter avere tutti i giorni la propria identità biologica come documento per tutto ciò che va certificato?
Il riconoscimento facciale non è solo un’innovazione tecnica. È una scelta culturale e politica. E come tutte le scelte che riguardano l’identità, non potrà mai essere attivato se i Governi non si svegliano dal loro letargo.

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