Manovra 2026, la scommessa del governo: deficit in discesa e “premio Italia” sui mercati. Ma sono molte le critiche
La legge di bilancio punta a sostenere redditi e fiducia degli investitori, ma tra effetti macro limitati e avvertimenti BCE. Molte le critiche.
Al 28 dicembre 2025 la manovra di bilancio per il 2026, in via di approvazione finale a ridosso della scadenza di fine anno, viene letta dalla stampa come un tentativo di tenere insieme due obiettivi: dare un segnale politico a famiglie e lavoratori (soprattutto ceto medio) e mantenere la rotta del rientro nei parametri europei. La Reuters riferisce che l’impianto complessivo mira a portare il deficit al 2,8% del PIL nel 2026 (dal 3% nel 2025), con l’ambizione di uscire dall’area di rischio della procedura per disavanzo eccessivo, mentre sul lato “popolare” inserisce tagli fiscali per redditi bassi e medi e misure sul lavoro.
Il provvedimento simbolo, ripreso con ampio spazio anche dai quotidiani italiani, è il taglio della seconda aliquota Irpef dal 35% al 33% per i redditi tra 28 e 50 mila euro, con una sterilizzazione oltre i 200 mila tramite rimodulazione delle detrazioni. Il Corriere della Sera lo presenta come il tassello che “connota” la manovra perché parla al ceto medio e promette un alleggerimento del prelievo; calcoli indipendenti diffusi in questi giorni stimano un vantaggio massimo nell’ordine di circa 440 euro annui a 50 mila euro di reddito, con meccanismi di recupero-sterilizzazione sulle fasce più alte.

I potenziali “effetti positivi”
Dove la stampa individua i potenziali “effetti positivi” più immediati è sulla domanda interna: l’idea è che più busta paga (o meno imposte) possa tradursi in consumi e quindi in un contributo, anche modesto, alla crescita. Il punto però è che – nelle stime istituzionali – l’impatto macro appare contenuto e spalmato nel tempo: l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha ricostruito un profilo in cui l’effetto sul PIL risulta appena negativo nel 2026 (-0,1%) e poi positivo nel 2027 (+0,2) e nel 2028 (+0,1), mentre la valutazione “di Governo” viene descritta come neutrale nel 2026 e lievemente espansiva nel biennio successivo. In altre parole: la manovra può “aiutare”, ma non cambia da sola il passo dell’economia.
Sul fronte lavoro, un’altra leva descritta come favorevole è la detassazione di alcune componenti salariali: la Banca d’Italia, nelle audizioni sulla manovra, richiamava la misura dell’aliquota ridotta al 5% per il 2026 sugli incrementi retributivi legati a contratti del biennio 2025-26 (entro determinati tetti di reddito), con l’obiettivo dichiarato di sostenere il potere d’acquisto e incentivare rinnovi e aumenti contrattuali. È un intervento mirato e temporaneo, ma nella narrazione economica “pro-crescita” conta perché prova a tenere insieme salari, produttività e partecipazione al lavoro.
La stampa internazionale
La vera novità, però, è che la manovra viene letta anche attraverso la lente dei mercati. In parallelo al dibattito parlamentare, il Financial Times ha raccontato un contesto favorevole per l’Italia: il differenziale di rendimento rispetto alla Germania è sceso ai minimi da 16 anni, segnale che una parte degli investitori sta rivalutando il “rischio Italia”. Il quotidiano attribuisce il miglioramento anche alla traiettoria di riduzione del disavanzo e a una migliore tenuta delle entrate, con l’effetto di rendere il debito italiano più “digeribile” in una fase in cui altre grandi economie europee (come la Francia) mostrano fragilità politiche e fiscali. Se lo spread scende, il beneficio potenziale è chiaro: nel medio periodo il costo del servizio del debito può diventare meno oneroso di quanto sarebbe stato con premi di rischio più alti.
Anche la stampa internazionale non anglosassone ha colto la logica dell’impianto: Le Monde descrive una manovra che prova a bilanciare disciplina e messaggio politico, combinando tagli fiscali e prelievi su banche/assicurazioni e altre misure settoriali, proprio per finanziare l’operazione Irpef senza sforare gli obiettivi di deficit. In questa chiave, il “positivo” sta nel tentativo di rendere credibile il rientro sotto il 3% senza rinunciare del tutto a misure redistributive, pur con effetti economici e sociali discussi.
Il rovescio della medaglia
Il rovescio della medaglia è la qualità della copertura. La Reuters ricorda che una quota rilevante delle risorse passa da aumenti di tassazione su banche, assicurazioni e transazioni finanziarie; e proprio qui arrivano i rilievi più severi, anche da Bloomberg: la BCE ha avvertito che l’uso di prelievi una tantum e l’inasprimento sul settore bancario possono creare incertezza e, in alcuni scenari, ridurre l’offerta di credito o indebolire la fiducia degli investitori. È un punto che non annulla il “segnale positivo” del rientro del deficit, ma lo rende più fragile: se la copertura appare episodica, il mercato potrebbe chiedere di nuovo un premio di rischio più alto.
In sintesi, al 28 dicembre 2025 la manovra viene raccontata come un compromesso tipicamente italiano: interventi visibili su Irpef e buste paga, un rientro dei saldi che prova a rafforzare la credibilità europea, e un contesto di mercato che per ora “premia” il debito. Ma le stime indipendenti suggeriscono che l’effetto positivo sul PIL sarà modesto e non immediato, e le critiche sulle coperture indicano il vero banco di prova del 2026: trasformare misure una tantum in un percorso più strutturale, perché la fiducia dei mercati richiede anche i numeri.
Le critiche dell’opposizione. Intervista ad Alessia Potecchi del PD
Come commenta la situazione ad oggi?
La Manovra di Bilancio rischia di produrre un effetto recessivo sul Paese, è una Manovra inconsistente e inconcludente che non risponde alle esigenze economiche e sociali del Paese, non pone attenzione alla riduzione delle disuguaglianze e non ha una visione di crescita e sviluppo. Le risorse destinate alla sanità non sono sufficienti e vanno valutate in rapporto al PIL come avviene sempre nelle misurazioni e valutazioni. La sanità deve recuperare la sua forza sul territorio, ed è qui che entra in gioco il discorso del PNRR e degli investimenti, in particolare la Missione 6, che prevede 20 miliardi di euro per l’ammodernamento tecnologico della sanità. E’ necessario un piano di assunzioni serio, i cittadini si rivolgono al privato sempre più frequentemente oppure rinunciano a curarsi anche in presenza di patologie gravi, oggi sono 6 milioni di persone.
Come giudica il programma di politica industriale?
Non esiste un programma di politica industriale serio e costruttivo. Alcuni dati: il settore automotive vale il 6% del PIL, genera 100 miliardi di fatturato e dà lavoro a decine di migliaia di persone. Il Governo ha perso mesi promettendo di raddoppiare la produzione in questo settore, ma il risultato è stato un calo della produzione industriale in tutti settori che è in corso d 35 mesi consecutivi. Le imprese dell’indotto e della componentistica stanno soffrendo terribilmente. Invece di avviare un tavolo con proposte serie di politica industriale per affrontare le sfide cruciali, come la transizione e la decarbonizzazione, il Governo ha tagliato dell’80% il fondo istituito dal Governo Draghi. Gli incentivi in manovra non sono sufficienti a fare fronte alla grave situazione in cui versa il nostro comparto industriale. Non si parla di energia per fare fronte ai costi enormi, non c’è un provvedimento.
Sul fronte fiscale vede qualche miglioramento?
Sul fronte fiscale, la riduzione della seconda aliquota dal 35% al 33% fino a 50.000 euro avvantaggia i redditi più alti e non va ad impattare sul ceto medio come sostiene il Governo perché la cifra è irrisoria e certamente non risolutiva. La pressione fiscale aumenta, la povertà aumenta, gli italiani fanno fatica a fare la spesa, questa la situazione reale e quotidiana, non si fa nulla per constatare il Fiscal Drag che si è mangiato gran parte degli aumenti contrattuali facendo scivolare i contribuenti interessati nello scaglione successivo senza prevedere una rimodulazione delle aliquote. Anche alcuni interventi presenti in Manovra come la detassazione degli aumenti contrattuali creano ancora maggiore disomogeneità e iniquità tra contribuenti.
Che cosa proporrebbe?
Occorre lavorare verso una riforma improntata alla crescita dell’economia potenziando l’efficacia della struttura delle imposte e la riduzione del carico fiscale sui redditi derivanti dall’impiego dei fattori di produzione; la razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario, puntando fortemente sulla progressività del sistema e correggendo in maniera decisa le iniquità e le distorsioni presenti. Combattere l’evasione ma anche l’elusione che è assai diffusa.
Altri aspetti che non la convincono?
E ancora il pasticcio delle pensioni, un vero e proprio colpo di mano che ha rischiato di fare entrare in crisi il governo, per cui si è dovuto fare marcia indietro con un allungamento dei tempi per la pensione. Poi lo stralcio di Opzione Donna e ulteriori interventi in fatto di previdenza complementare che scavalcano la contrattazione e il ruolo delle parti sociali. Una Manovra i cui numeri ci dicono che non avrà alcun impatto sul PIL, alcun impatto sulla crescita e impatto negativo sugli investimenti. Una legge di Bilancio in difesa, in trincea, rassicurante ma che non va incontro alle problematiche vere e reali del paese. Un Manovra con un puzzle di mini-interventi che non hanno alcun impatto e che anzi in alcuni casi peggiorano la situazione su cui vanno ad intervenire. Di grandi e decisi provvedimenti c’è solo l’aumento delle spese militari varato in sede NATO fatto su base nazionale. La Manovra in via di approvazione risulta dunque iniqua dal punto di vista sociale, inefficace e recessiva, priva di una visione strategica per il futuro e non orientata a una seria lotta alle disuguaglianze. Il nostro Paese ha bisogno di crescere, ha bisogno di una visione economica futura, di mettere al centro la questione sociale, i giovani, le donne, i lavoratori. Una Manovra che volta le spalle a tutto questo.

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