Pietro Roffi, l’arte di oltrepassare: quando la fisarmonica diventa visione

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Quando la fisarmonica diventa visione

— di Jo D’Ambrosio —

C’è una musica che non chiede permesso. Non si lascia incasellare, non risponde alle etichette, non ha bisogno di spiegarsi. È una musica che attraversa. Pietro Roffi appartiene a questa dimensione rara: quella degli artisti che trasformano lo strumento in linguaggio e il suono in pensiero.

Fisarmonicista e compositore tra i più apprezzati della scena contemporanea, Roffi è oggi una delle voci italiane più richieste all’estero, protagonista di stagioni concertistiche nei cinque continenti e ospite delle più prestigiose sale da concerto del mondo, dal Concertgebouw di Amsterdam alla Tonhalle di Zurigo, dalla Filarmonica di Monaco alla Sala São Paulo. Un percorso internazionale costruito con rigore, poesia e una visione musicale profondamente personale.

A raccontarne la cifra artistica bastano le parole di Dario Marianelli, Premio Oscar, che di Roffi ha detto:

«Non è soltanto tecnicamente preparatissimo, ma un musicista di un’espressività poetica e raffinata, capace di far cantare il suo strumento e di seguire il pensiero musicale del compositore con immaginazione ed empatia».

Un riconoscimento che trova piena conferma in una carriera costellata di collaborazioni d’eccellenza. Roffi ha lavorato a fianco di Marianelli in contesti simbolici, come il debutto con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in occasione dei 90 anni di Ennio Morricone, interpretando una composizione scritta appositamente per lui, e nelle colonne sonore cinematografiche di film come Pinocchio di Matteo Garrone, candidata ai David di Donatello. Un sodalizio che lo ha reso una presenza costante e riconoscibile nel mondo della musica per immagini, tra cinema, serie TV e produzioni internazionali.

Ma ridurre Pietro Roffi al solo ruolo di interprete sarebbe limitante. La sua è una ricerca compositiva autentica, che attraversa la tradizione per proiettarla nel presente. Lo dimostra il nuovo singolo “Flight – Oltrepassare III”, disponibile dal 9 gennaio, che anticipa l’album strumentale “Oltrepassare”, in uscita il 30 gennaio 2026.

Flight è molto più di un brano: è una soglia sonora. Un’ascesa poetica in cui la fisarmonica respira insieme agli archi, al pianoforte e a un’elettronica rarefatta, disegnata da Carmelo Patti. La musica si muove come un corpo che prende quota, senza fuggire, ma attraversando. Non un’evasione, bensì un atto di fiducia: staccarsi da terra sapendo che le radici restano.

“Oltrepassare” è il cuore pulsante di questo nuovo capitolo artistico. Un album di composizioni originali per fisarmonica, quintetto d’archi, pianoforte ed elettronica, prodotto da Blue Mirror e pubblicato da Extended Place, nato con il sostegno del Ministero della Cultura e della SIAE. Un lavoro che mette al centro la fisarmonica come strumento del nostro tempo, capace di dialogare con linguaggi diversi senza rinnegare la propria storia.

Roffi lo racconta come un “canto libero”, una ricerca di libertà che supera confini, appartenenze e pregiudizi. La sua fisarmonica non rifiuta la tradizione: la abita, la attraversa, la trasforma. E nel farlo restituisce allo strumento una dignità nuova, contemporanea, necessaria.

Parallelamente all’attività concertistica e compositiva, Pietro Roffi è anche un punto di riferimento nella didattica musicale. Le sue opere sono studiate nei principali conservatori europei, eseguite da fisarmonicisti di tutto il mondo e adottate come brani d’obbligo in importanti istituzioni accademiche. Una nuova scuola italiana della fisarmonica prende forma anche grazie al suo lavoro silenzioso e costante di trasmissione.

In un’epoca che corre veloce, la musica di Pietro Roffi sceglie un’altra direzione: quella della profondità, dell’ascolto, dell’attraversamento. Oltrepassare non è solo il titolo di un album, ma una dichiarazione poetica. Un invito a guardare oltre, senza perdere ciò che siamo stati.

5 DOMANDE DA FARE A PIETRO ROFFI

  1. “Oltrepassare” è un verbo prima ancora che un titolo. Qual è il confine più difficile che senti di aver attraversato, artisticamente o umanamente, con questo nuovo album?

Sì, “Oltrepassare” è un verbo attivo, un verbo di movimento e peraltro qui è nel modo infinito. Questo disco, che per me è un manifesto, rappresenta un vero e proprio passaggio. E non so se ho già davvero oltrepassato tutti i limiti che spesso vengono affibbiati alla fisarmonica, né se umanamente ho già superato certi muri. Quello che so è che lo sto facendo adesso. Ci provo, con lucidità, passione e con urgenza. È un album “in avanti”, che vuole muovere lo strumento oltre l’immagine che lo trattiene. La fisarmonica vive sempre e solo di passato, ma per me parla di presente e, soprattutto, di futuro.

  1. La tua musica vive tra tradizione e contemporaneità senza mai forzare il dialogo. Come riesci a mantenere questa libertà senza rinnegare la storia dello strumento che suoni?

La tradizione, per me, non è un peso, è una radice. La musica “folkloristica” è stata un passaggio fondamentale nella mia crescita e nella mia formazione, e non mi interessa sminuirla. La fisarmonica ha molte anime. Per esempio in Italia evoca memoria, territori, un’immaginazione sonora condivisa; chi non ha un nonno o uno zio che la suona? Ma è anche uno strumento versatile, contemporaneo, capace di stare nelle sale da concerto, nel cinema, e in un repertorio originale sempre più vasto. La mia libertà sta nella consapevolezza del suo suono profondo perché da lì posso portarlo in paesaggi nuovi, come in questo disco, dove la fisarmonica non è sola ma dialoga con gli archi, col pianoforte e con l’elettronica.

  1. Hai lavorato a lungo nel mondo delle colonne sonore. In che modo il cinema ha influenzato il tuo modo di pensare la forma, il tempo e il silenzio nella musica da concerto?

L’esperienza nell’incisione di colonne sonore mi ha insegnato due cose: la forza dell’immagine e la precisione del tempo. Lavorare sulle colonne sonore mi ha fatto capire come la musica possa “cucirsi” intorno a una scena, e allo stesso tempo mi ha confermato che ogni composizione può evocare immagini, paesaggi, visioni anche senza uno schermo. Questo influenza il mio modo di pensare forma, durata e silenzio. E soprattutto i silenzi non sono “vuoti”, ma sono parte della narrazione. E poi c’è il palco. Anche il concerto ha una drammaturgia, con i suoi respiri e i suoi apici In fondo, oggi il concerto stesso, il concetto di concerto sta cambiando, e quel momento può essere trasformato in una tensione narrativa più leggibile.

  1. Sei oggi un riferimento per una nuova generazione di fisarmonicisti. Che responsabilità senti nel contribuire alla nascita di una “nuova scuola italiana” dello strumento?

Sento una responsabilità reale, e mi ci riconosco. Contribuire a una nuova scuola italiana della fisarmonica significa creare una generazione curiosa, colta, libera da schemi o pregiudizi. Oggi non basta suonare bene, serve saper immaginare lo strumento dentro nuove forme e nuovi spazi, sonori e culturali. Mi sento in prima linea perché ci credo da anni, con i concerti, con la scrittura, con i dischi, e oggi anche con l’insegnamento e con la trasmissione quotidiana di un certo sguardo. Nel 2025 (quasi 2026!) abbiamo bisogno di fisarmonicisti capaci anche di raccontare lo strumento in modo più profondo, ispirato e contemporaneo.

  1. Se “Flight” rappresenta il momento in cui ci si stacca da terra, verso quale orizzonte senti che la tua musica sta volando adesso?

Esatto, “Flight” è il momento in cui la musica si stacca da terra, e in parte è così anche per me. Non so esattamente dove stia andando la mia musica, ma so da cosa si sta allontanando: dal pregiudizio, dai confini stretti in cui spesso la fisarmonica viene chiusa. Sento che sta volando verso orizzonti nuovi, contaminandosi con altri strumenti e con altri linguaggi, cercando una voce sempre più essenziale. È una musica che aspira ad ispirare. E sogno un mondo in cui la fisarmonica sia tra gli strumenti più suonati. È il più umano, a contatto col corpo, con un mantice che respira davvero. Se posso, questa musica vuole essere – con umiltà – la colonna sonora di una nuova potente ventata per questo strumento pieno di nostalgia ma anche di futuro.