T. Rowe Price – In anticipo sulla curva. La faglia di Sant’Andrea della finanza scuote i mercati

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La stretta monetaria della Bank of Japan e il suo impatto sui flussi di capitali globali sono tutt’altro che cose di poco conto, e avranno una grande influenza nei prossimi anni. Sebbene il rafforzamento dello yen e le consistenti negoziazioni abbiano costituito un’agevole spiegazione per la volatilità di inizio agosto, la sensazione è che sia stato l’inizio, non la fine, di qualcosa. Da una prospettiva interna giapponese, un modesto incremento dei rendimenti nipponici potrebbe attirare, sul più lungo periodo, grandi flussi verso il Paese.

Le condizioni di scarsa liquidità in estate, congiuntamente alle consistenti posizioni che sfruttano la leva sul mercato, hanno creato le premesse per un potenziale shock sui mercati. Così, a inizio agosto, è bastata una scintilla per innescare uno straordinario shock in termini di volatilità. La mossa della Bank of Japan (BoJ), ossia l’inasprimento della politica monetaria, ha fornito il catalizzatore.

Allentamento del controllo della curva dei rendimenti da parte della BoJ

La BoJ ha iniziato a rialzare gradualmente i tassi. La banca centrale giapponese ha anche allentato la politica di controllo della curva dei rendimenti, che si avvale di acquisti di titoli di Stato giapponesi essenzialmente per limitare i rendimenti.

La BoJ ha spostato il limite superiore del tasso d’interesse di riferimento allo 0,1% a marzo, dal -0,1% – il livello dove si trovava dall’inizio del 2016 – e ha rialzato i tassi a fine luglio, portando il limite superiore allo 0,25%.

In occasione della riunione di giugno per definire la sua policy, la BoJ ha dichiarato che, nei prossimi uno o due anni, inizierà a ridurre “significativamente” gli acquisti di asset, dall’attuale ritmo mensile di 6 trilioni di yen. Nella riunione di luglio, la BoJ ha fatto un ulteriore passo avanti, dichiarando che avrebbe ridotto lentamente il ritmo degli acquisti al fine di dimezzare l’attuale ammontare mensile entro l’inizio del 2026.

Tuttavia, le massicce emissioni di titoli di Stato giapponesi, necessarie per finanziare il deficit del Paese implicano che la banca centrale probabilmente non interromperà i suoi acquisti, o che lascerà che il suo bilancio si esaurisca, non reinvestendo il capitale associato alle obbligazioni in scadenza, come fa invece la Federal Reserve dal giugno 2022.

Non sorprende che, in questo contesto, i rendimenti dei titoli di Stato giapponesi siano aumentati. A fine agosto, un titolo di Stato trentennale nipponico, con una copertura rispetto al dollaro statunitense, offriva un rendimento superiore al 7%. Per contestualizzare questo dato, il rendimento dei Treasury statunitensi a 30 anni era di circa il 4%. Al fine di eguagliare il rendimento dei JGB con copertura in dollari sui mercati creditizi statunitensi, bisognerebbe scendere molto in basso nella scala dei rating creditizi, fino a un livello di investment grade (low), o addirittura high yield. In un mondo di massicce emissioni di debito, in cui diverse emissioni sono in competizione per una quantità limitata di fondi, il rendimento conta.

Rendimenti più elevati per attirare gli investitori interni nipponici verso i titoli di Stato giapponesi…

Da una prospettiva nazionale giapponese, cosa succederebbe se un modesto aumento dei rendimenti giapponesi ri-attirasse nel Paese grandi flussi sul più lungo termine? A un certo punto, il rialzo dei rendimenti giapponesi potrebbe attrarre la grande schiera di investitori in fondi pensione e assicurazioni del ramo vita del Paese, che potrebbero tornare ad acquistare titoli di Stato giapponesi, abbandonando altri titoli di Stato di qualità elevata, tra cui Treasury statunitensi e Bund tedeschi. In effetti, tutto questo riorganizzerebbe la domanda sul mercato globale. Ritengo che un’allocazione sovrappesata verso i titoli di Stato nipponici beneficerebbe di questo cambiamento.

A mio avviso, una corrispondente posizione sottopesata nei Treasury statunitensi beneficerebbe delle pressioni al rialzo sui rendimenti dei Treasury, nel momento in cui gli investitori istituzionali giapponesi abbandonano gli Stati Uniti per tornare al Giappone. Anche altri fattori, tra cui il peggioramento della situazione fiscale del Paese e i conseguenti livelli elevati di emissioni di nuovi Treasury, mi inducono a prevedere un aumento dei rendimenti statunitensi sul più lungo termine.

Un’inflazione più rapida potrebbe determinare una stretta più aggressiva della BoJ

Naturalmente questo approccio non è privo di rischi. L’inflazione giapponese potrebbe essere più alta del previsto nel secondo semestre dell’anno, in caso di una continua debolezza dello yen o di una crescita dei salari inaspettatamente solida. Ciò potrebbe indurre la BoJ a rialzare i tassi nella riunione di ottobre e a rallentare ulteriormente gli acquisti di asset.

A parità di condizioni, la debolezza dello yen giapponese potrebbe indurre la BoJ a un inasprimento più rapido. Tuttavia, i tagli dei tassi da parte di altre banche centrali dei mercati sviluppati compenserebbero in qualche misura tale tendenza. A inizio 2024, lo yen ha toccato il minimo nei confronti del dollaro americano dalla metà degli anni Ottanta e il minimo storico nei confronti dell’euro dall’introduzione della valuta comune dell’Eurozona nel 1998. Tuttavia, la Fed è apparentemente propensa a tagliare i tassi e la Banca Centrale Europea ha già iniziato ad allentare la sua politica, così la BoJ non sarà sottoposta ad altrettante pressioni per rendere i tassi d’interesse giapponesi più competitivi.

Spostamenti dei flussi di capitali, dissipazione delle difficoltà

Nel complesso, sebbene il carry trade in yen sia stato, ancora una volta, una spiegazione agevole, la mia sensazione è che l’ampia volatilità sui mercati del 5 agosto sia stata l’inizio di qualcosa.

L’inasprimento della BoJ e l’impatto che avrà sui flussi di capitali globali sono tutt’altro che cose da poco, e avranno una grande influenza nei prossimi anni. Tuttavia, nel contesto di altri mega-trend, come l’insostenibile espansione finanziaria di alcuni Paesi sviluppati, la volatilità non dovrebbe essere uno shock, bensì la norma.

Per dirla con altre parole, dalla crisi finanziaria globale sono emerse diverse difficoltà per gli investitori. Che ci piaccia o no, il vento è cambiato e i prossimi anni potrebbero essere più difficili. La variazione dei flussi dei capitali a livello globale, a seguito dell’inasprimento della BoJ, è uno di questi cambiamenti e gli investitori più accorti dovrebbero essere consapevoli dei relativi impatti.