Economia USA. La recessione non è lo scenario per i prossimi mesi

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Il report di settembre sull’occupazione USA ha cambiato in positivo la narrativa del mercato – che temeva una crisi del settore, mentre il dato sull’inflazione ci ricorda non solo che il processo di normalizzazione è lento, ma anche che l’inflazione ha caratteristiche di viscosità che non tutti si attendevano. Questi dati macro, presi nel loro insieme, condizioneranno le prossime mosse della Fed.

Attualmente non ci aspettiamo una recessione, poiché l’economia USA non mostra segnali di crisi. A nostro avviso, l’atterraggio morbido dell’economia statunitense potrebbe comportare un anno addirittura migliore rispetto al 2023, con una stima di crescita del 2% per il 2025 (maggiore rispetto all’1,7% stimato dal consensus).

A livello globale, migliorano le stime di crescita per la Cina, sulla scia di una serie di interventi di carattere fiscale e monetario da parte del governo di Pechino, mentre l’Eurozona annaspa, nonostante gli sforzi di carattere fiscale. Le nostre stime di crescita per l’Europa sono allineate al consensus per quest’anno, ma inferiori al consensus per il prossimo (0,9% versus 1,3%), soprattutto a causa delle criticità politiche per la Francia, riflesse dallo spread (recentemente, lo yield sui titoli di Stato francesi si è attestato a un livello più alto di quello dei titoli governativi spagnoli o greci).

La normalizzazione richiede tempo
Tornando agli Stati Uniti, il report sull’occupazione di settembre ha indicato che il mercato del lavoro è resiliente, nonostante una politica monetaria aggressiva. Quanto all’inflazione, l’ultimo dato del CPI mostra come la componente core resti ancora sopra il target del 2% stabilito dalla banca centrale – il che ci ricorda non solo che il processo di normalizzazione è molto lento, ma anche che l’inflazione ha caratteristiche di viscosità che non tutti si attendevano. Dobbiamo inoltre tenere in considerazione che nei prossimi mesi potrebbe anche esserci un nuovo contributo positivo dato dalle componenti più volatili dell’inflazione, cioè quelle legate alle materie prime come i beni alimentari e il comparto dell’energia.

Visto il quadro macro, esiste il rischio di un errore di politica monetaria, che potrebbe creare una bolla speculativa surriscaldando gli asset – un rischio discusso anche Michelle Bowman del FOMC, che si era dichiarata contraria al taglio dei tassi di mezzo punto a settembre e favorevole a un taglio di un quarto di punto.

Anche il mercato del lavoro si mostra più resiliente di quanto il pricing delle curve monetarie lasciasse intendere solo poche settimane fa. Sebbene i fattori meteorologici possano incidere sui dati sull’occupazione nelle prossime settimane, la traiettoria di fondo dovrebbe comunque riflettere una normalizzazione tra domanda e offerta. In contrasto con la view condivisa da tanti economisti che prevedevano una recessione, abbiamo sempre respinto questo scenario, ritenendo che la resilienza dell’economia USA, potesse favorire un atterraggio morbido. L’attuale scenario macroeconomico, infatti, ci dà pienamente ragione.

Le aspettative sui tassi

Per quanto riguarda le previsioni di politica monetaria, si è aperto un divario tra quello che prezzano i mercati, le stime degli economisti di AXA IM e, per il mercato USA, le stime degli stessi membri della Fed. Prevediamo, infatti, un tasso dei Fed funds al 4% entro la fine del 2025, in contrasto con il pricing di mercato che indica un tasso intorno al 3.4%. Questo perché, a nostro avviso, con un’economia che si avvia verso un atterraggio morbido, non sarà più necessario un intervento di politica monetaria aggressivo.

Una FED più prudente?

Lo scenario più probabile per quest’anno contempla due tagli dei tassi nelle prossime riunioni, come indicato dalla stessa Fed. Tuttavia, per i prossimi dodici mesi, i mercati scontano i tagli in modo troppo aggressivo: fino a circa 200 punti base, mentre la Fed ne prevede 150 e noi riteniamo che saranno solo 100. A nostro avviso, infatti, non si tratta di una Fed che riduce i tassi in risposta a una recessione, ma che cerca di neutralizzare l’effetto della sua politica monetaria in un contesto di inflazione ridimensionata rispetto a un anno fa. In conclusione, la Fed adotterà molto probabilmente un approccio “data based”: le sue decisioni di politica monetaria rifletteranno quindi la totalità dei dati pubblicati, nonché l’effetto delle condizioni finanziarie sul ciclo economico, cercando un equilibrio tra gli obiettivi di piena occupazione e stabilità dei prezzi.