L’arrivo di Trump alla Casa Bianca preannuncia forti conseguenze per l’Europa. È un film già visto: com’è accaduto nel corso del primo mandato, otto anni fa, tutto fa pensare che saremo più soli. Trump intende rimettere in discussione gli equilibri all’interno dell’alleanza atlantica (incardinata nella NATO), ha annunciato ancor meno sostegno americano all’Ucraina, e vuole riequilibrare il deficit commerciale degli Stati Uniti.
Anche a causa dell’approccio “transazionale” e bilaterale del nuovo presidente, la sua entrata in carica promette conseguenze che potrebbero essere molto diverse a seconda dei paesi europei. Con questo speciale proviamo a fare chiarezza su entrambi gli aspetti: sia sugli effetti che la presidenza Trump potrebbe avere sull’intera Europa, sia sugli specifici riflessi che questa potrebbe avere su alcuni paesi europei (e sull’Italia in particolare).
Qui il link al documento completo a cura di Matteo Villa Senior Research Fellow ISPI e di Giovanni Maria Della Gatta ISPI Research Trainee
Gli argomenti trattati: 1. BILANCIA COMMERCIALE 2. SPESE PER LA DIFESA 3. SOSTEGNO ALL’UCRAINA 4. RELAZIONI CON LA CINA 5. ENERGIA – Le altre incognite
Arriva Trump: l’Europa è pronta? Partiamo dai dazi

Tutti i paesi europei, anche quelli ideologicamente più vicini a Trump e alla sua amministrazione, rischiano qualcosa dalla sua entrata in carica. Qui sopra abbiamo tracciato uno schematico riassunto di dove ciascun paese si posiziona rispetto alle richieste o agli obiettivi dichiarati di Trump. Il caveat, naturalmente, è che fermiamo l’orologio al momento presente: per esempio, prendendo in considerazione la vicinanza politica, è naturale che le azioni dei leader ed eventuali cambi di governo possano influirvi anche profondamente.
Dalla tabella salta subito all’occhio la posizione della Germania: un paese che quest’anno arriverà a malapena a spendere il 2% per la difesa, ma contrario a nuovi dazi alla Cina e con un attivo di bilancia commerciale nei confronti degli Stati Uniti che nel mondo è superato soltanto proprio da Pechino. E se è vero che Berlino non è certo Varsavia, si tratta pur sempre di un paese che ha preso posizioni nettamente pro-Ucraina (diversamente da gran parte dell’entourage di Trump) e il cui attuale governo è politicamente molto distante dal neopresidente americano (anche se le elezioni di fine febbraio sono ormai vicine).
All’altro estremo troviamo l’Ungheria e il Regno Unito, che per ragioni profondamente diverse – l’Ungheria di Orban perché più allineata politicamente, Londra perché già soddisfa molti dei desiderata dell’amministrazione USA entrante – sembrano avere un vantaggio rispetto agli altri paesi europei. Naturalmente, come si è visto nelle ultime settimane, qui peserà l’enfasi che la Casa Bianca porrà sullo scontro politico nei confronti di partner non allineati: si veda il sostegno esplicito e forte all’opposizione nazionalista ed euroscettica di Reform UK dichiarato da alcuni alleati di Trump, in primis Elon Musk.
Nel mezzo si situa probabilmente la Francia di Macron: nemico degli “amici” politici di Trump, il presidente francese può tuttavia vantare dei risultati quasi soddisfacenti su commercio e difesa, così come una posizione dura nei confronti di Pechino che incontrerà sicuramente i favori di Washington.
E l’Italia? Potrebbe stupire, forse, viste le ottime relazioni tra la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e Donald Trump, ma Roma non è al riparo dalla critiche degli USA. Anzi: a causa del forte surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti e delle basse spese per la difesa, in un’ipotetica lista di paesi verso cui Trump potrebbe concentrare le proprie attenzioni c’è certamente anche l’Italia. Anche qui, come nel caso opposto del Regno Unito, si tratterà di capire se prevarranno gli elementi di vicinanza politica e personale o le posizioni e gli impegni assunti.
BILANCIA COMMERCIALE

Come nel 2017, e a dispetto delle opinioni di molti economisti e organizzazioni internazionali che mettono in guardia contro azioni da vera e propria guerra commerciale, sembra che Trump consideri ancora cruciale il riequilibrio della bilancia commerciale americana. Bilancia commerciale che è oggi in profondo rosso (per oltre 1.100 miliardi di dollari l’anno) e che è addirittura nettamente peggiorata rispetto alla posizione che faceva registrare all’inizio del primo mandato Trump nel 2017 (circa 500 miliardi di dollari di passivo).
Di questi 1.100 miliardi di deficit, circa 230 sono “responsabilità” dei paesi dell’Unione europea, non lontani dai 290 miliardi “causati” dalla Cina. Per questo motivo, i paesi europei con il maggior surplus commerciale verso gli Stati Uniti saranno quasi certamente anche quelli verso cui Trump riserverà le maggiori critiche.
Guardando agli ultimi tre anni, in testa a questa classifica c’è il “solito sospetto”: la Germania, un grande esportatore con 80 miliardi di euro di avanzo commerciale. Segue una sorpresa: l’Irlanda, con un surplus generato soprattutto dalle esportazioni del settore biomedicale e del chimico.
All’estremo opposto troviamo i Paesi Bassi, il Regno Unito e la Spagna, che hanno addirittura un deficit commerciale con gli Stati Uniti e non potranno dunque finire nel mirino dell’amministrazione Trump. Interessante il ruolo dei Paesi Bassi, che grazie alla presenza di grandi porti come quello di Rotterdam è in realtà un hub di importazioni e ri-esportazioni verso altri paesi UE. Un ottimo modo per sfuggire alle ire del neopresidente americano.

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