Dazi e dollaro, da valuta rifugio a possibile deprezzamento (ma non nel breve)

Saverio Berlinzani, Senior analyst ActivTrades -

Sino ad oggi, ogni volta che il neoeletto Presidente Trump ha parlato di dazi e tariffe sui prodotti provenienti dall’estero, in particolar modo da Messico, Canada, Cina e UE, il biglietto verde si è rafforzato, schiacciando le valute concorrenti e rompendo quasi tutte le resistenze che ha incontrato. La ragione principale è che il biglietto verde è stato visto come valuta rifugio in condizioni di incertezza, e i dazi creano tale insicurezza nelle decisioni degli investitori.

Ma non è la sola ragione. I dazi costringono, e in alcuni casi provocano, la reazione dei paesi concorrenti degli USA, che tendono a svalutare la propria moneta per attutire l’effetto negativo che le tariffe hanno sull’export. Ciò ha implicazioni significative sull’inflazione in queste aree, poiché la svalutazione produce un aumento dei prezzi. I prezzi tendono a salire anche con i dazi, anche negli USA, poiché le tariffe colpirebbero i consumatori americani a causa dell’aumento dei prezzi importati.

Occorre valutare con attenzione l’impatto dei dazi e quello delle svalutazioni per comprendere quale delle due pratiche generi maggiori danni, non solo ai concorrenti degli USA, ma anche agli stessi Stati Uniti e al commercio globale. Gli USA sono i primi produttori di petrolio, ma sono anche i maggiori consumatori, ed è per questo che Trump ha chiesto all’OPEC di abbassarne il prezzo.

Poi c’è la componente bilancia commerciale, che è il nodo cruciale della politica del Presidente, il quale vorrebbe riportarla in attivo. È improbabile che le tariffe possano ridurre il debito commerciale, come già dimostrato nel primo mandato di Trump, dal 2016 al 2020, in cui non ci furono significativi miglioramenti del deficit, che allora era di 40 miliardi di dollari al mese di passivo, mentre oggi è circa 89 miliardi.

Pertanto, la narrativa del Presidente potrebbe ben presto cambiare, specie se la luna di miele con gli elettori, a causa delle tariffe, dovesse terminare. La via, a quel punto, potrebbe essere una sola: il deprezzamento del biglietto verde, che aiuterebbe i concorrenti a pagare meno per l’energia e le materie prime, pagate in dollari.

Con l’incognita però di essere meno competitivi sull’export. Insomma, la coperta è corta, ma visto il precedente fallimento delle tariffe, non ci meraviglieremmo di vedere il dollaro invertire nel medio termine. Nel breve, questa eventualità sembra ancora remota.