Dazi USA. Una questione di sopravvivenza per il vino italiano. Questa non è una discussione accademica

Umberto Callegari -

IL FUTURO DEL VINO: I DAZI SONO SOLO IL SINTOMO DI UN PROBLEMA STRUTTURALE

Negli Stati Uniti c’è un culto dell’ignoranza, e c’è sempre stato
“There is a cult of ignorance in the United States, and there has always been. The strain of anti intellectualism has been a constant thread winding its way through our political and cultural life, nurtured by the false notion that democracy means that ‘my ignorance is just as good as your knowledge.’ When stupidity is considered patriotism, it is unsafe to be intelligent.”Isaac Asimov, 1980.

Una questione di sopravvivenza per il futuro del vino italiano

— di Umberto Callegari, CEO Terre d’Oltrepò

Negli ultimi anni, il commercio globale ha subito un’evoluzione significativa, con nuove barriere e politiche protezionistiche che hanno messo alla prova interi settori industriali. Il vino italiano, con la minaccia di dazi del 200% negli Stati Uniti, si trova oggi in una posizione di grande vulnerabilità. Tuttavia, sebbene questi dazi rappresentino una sfida significativa per il nostro export, il vero nodo da affrontare è un altro: la frammentazione estrema del settore vinicolo italiano e la sua incapacità di assorbire gli shock economici globali.
Il mercato globale è caratterizzato da forti cicli economici. Alcuni settori, come la farmaceutica e la tecnologia, riescono a mantenere una relativa stabilità grazie a una domanda resiliente e a strutture di costo flessibili. Al contrario, il vino, come altri beni di consumo voluttuari, è molto più sensibile alle oscillazioni economiche. Il problema principale non è solo la volatilità della domanda, ma la debolezza strutturale del sistema vinicolo italiano, che non è in grado di adattarsi ai cambiamenti con la stessa efficacia di altri settori industriali più consolidati.

Perché il vino italiano è particolarmente vulnerabile ai dazi?

Il settore vinicolo ha una frammentazione estrema, che lo rende inefficiente e incapace di reagire prontamente ai cambiamenti del mercato. Questa caratteristica lo porta ad avere una bassa leva operativa, ossia una struttura in cui i costi fissi sono molto elevati rispetto ai costi variabili.
Cosa significa questo in termini pratici?
• Quando la domanda cresce, il settore vinicolo italiano riesce a generare buoni margini, ma con difficoltà nell’espansione su larga scala.
• Quando la domanda cala – per una crisi economica o per barriere commerciali come i dazi – i produttori non hanno la flessibilità per ridurre rapidamente i costi fissi, causando perdite elevate.
Mentre settori come la tecnologia e la farmaceutica possono adattare rapidamente le loro operazioni riducendo o aumentando la produzione in base alla domanda, il vino non può farlo. Le vigne continuano a crescere, le cantine devono essere mantenute e le bottiglie devono essere stoccate. Quando un mercato si chiude improvvisamente, come sta accadendo con gli Stati Uniti, il settore non ha strumenti per assorbire il colpo.

Settori e volatilità della redditività

• Tecnologia: Bassa volatilità – domanda costante e costi flessibili.
• Farmaceutico: Bassa volatilità – beni essenziali e alta marginalità.
• Automotive: Media volatilità – domanda ciclica ma forte capacità di adattamento.
• Vino: Alta volatilità – domanda fluttuante e costi fissi elevati.
Secondo le previsioni di SACE, l’agenzia che assicura le esportazioni italiane, la situazione si aggraverà ulteriormente dal 2026, con un impatto annuale sull’export che potrebbe raggiungere 6,8 miliardi di euro.
Questo colpirà in modo particolare le piccole e medie imprese, che costituiscono l’ossatura del settore vinicolo italiano ma non hanno la capacità finanziaria per assorbire costi aggiuntivi o delocalizzare la produzione come fanno le grandi multinazionali.

Il vero problema: la frammentazione del settore vinicolo

I dazi rappresentano un ostacolo, ma il vero problema è che il settore vinicolo italiano non è strutturato per assorbire queste oscillazioni.
Numero di aziende vitivinicole in Italia: Oltre 310.000
Quota di volume di vino prodotto in Italia dalle cooperative: Circa il 60%
Numero cooperative vinicole in Italia: 498
Numero cooperative vinicole in Italia con fatturato sopra i 100 milioni di euro: meno di 15
Quota di mercato detenuta dai primi 10 produttori: Inferiore al 10%
Quota di mercato detenuta dai primi 10 produttori negli USA: Oltre il 60%
In altre parole, il vino italiano è troppo frammentato rispetto ai suoi concorrenti. Questo significa che non possiamo sfruttare economie di scala, ridurre i costi operativi o proteggere i margini di profitto in modo efficace. Mentre i grandi gruppi vinicoli americani o francesi possono spostare rapidamente risorse, riorganizzare la produzione e assorbire l’impatto dei dazi grazie alla loro struttura finanziaria solida, il nostro settore è troppo disperso per reagire con la stessa rapidità.

Cosa insegna il mercato americano sul consolidamento nel vino?

1. Concentrazione del mercato e leadership chiara
Negli Stati Uniti, il mercato del vino è altamente consolidato, con pochi grandi player che dominano la scena. Le prime 10 aziende detengono oltre il 60% del mercato e operano con strutture integrate che spaziano dalla produzione alla distribuzione, fino al marketing e alla vendita diretta ai consumatori.
• Esempio: E&J Gallo, Constellation Brands e The Wine Group controllano una fetta significativa delle vendite e dettano le dinamiche di prezzo e distribuzione.
• Confronto con l’Italia: In Italia, le prime 10 aziende rappresentano meno del 10% del mercato, creando un’enorme frammentazione e dispersione di valore.
2. Leva operativa elevata e ottimizzazione della filiera
Il mercato americano dimostra che un alto leverage operativo, derivante da economie di scala e ottimizzazione dei processi, permette ai grandi gruppi di resistere meglio alle crisi economiche.
• Produzione integrata: Le grandi aziende vinicole americane possiedono o gestiscono vaste superfici vitate, riducendo la dipendenza da fornitori esterni e stabilizzando i costi.
• Efficienza industriale: L’uso di tecnologie avanzate nella vinificazione e nell’imbottigliamento riduce gli sprechi e migliora la qualità a costi inferiori.
3. Diversificazione del portafoglio e mitigazione del rischio
Le grandi aziende americane non si affidano a un’unica tipologia di vino o a un solo segmento di mercato.
• Esempio: Constellation Brands possiede marchi che spaziano dai vini economici a quelli premium e super-premium, bilanciando la volatilità della domanda.
• Vantaggio competitivo: Questa strategia consente loro di adattarsi ai cicli economici senza subire cali drastici di redditività.
4. Presenza capillare nei canali distributivi
Le aziende consolidate hanno accesso privilegiato ai canali di distribuzione, grazie a contratti diretti con supermercati, ristoranti e piattaforme di e-commerce.
• Esempio: E&J Gallo ha una distribuzione capillare su tutto il territorio americano, con relazioni consolidate con i maggiori retailer.
• Effetto sul mercato: Questo garantisce stabilità nelle vendite, mentre in Italia i piccoli produttori faticano a ottenere spazi sugli scaffali della grande distribuzione.
5. Forza contrattuale e pricing power
La concentrazione del mercato americano conferisce ai grandi player un elevato potere contrattuale nei confronti di fornitori e distributori.
• Negoziazione con i fornitori: Le grandi aziende possono acquistare materie prime a costi
ridotti grazie a volumi elevati.
• Controllo della filiera: La capacità di gestire direttamente la distribuzione e il pricing permette
di assorbire meglio le oscillazioni dei costi e dei dazi commerciali.

Cosa dovrebbe imparare il settore vinicolo italiano?

Il modello americano dimostra che il consolidamento non è sinonimo di omologazione, ma di sostenibilità economica e competitività. Il vino italiano deve adottare strategie simili per evitare di rimanere vulnerabile alle crisi e alle fluttuazioni del mercato globale.
Consolidamento della produzione → Creare gruppi più solidi e competitivi, riducendo la frammentazione.
Ottimizzazione della supply chain → Investire in efficienza industriale e riduzione dei costi operativi.
Diversificazione del portafoglio → Bilanciare la produzione tra segmenti economici e premium.
Distribuzione strategica → Costruire una presenza più forte nella GDO e nei canali digitali.
Aumento del potere contrattuale → Rafforzare la posizione negoziale con fornitori e distributori.

Cosa insegna il settore del lusso?

Se guardiamo alla trasformazione del settore del lusso, vediamo che la crescita e la stabilità sono arrivate con il consolidamento.

Consolidamento e integrazione delle operazioni industriali.
Mantenimento della differenziazione a livello di brand e posizionamento di mercato.
Massimizzazione del valore attraverso economie di scala e standardizzazione dei processi.
LVMH, Kering e Richemont hanno costruito imperi globali aggregando brand storici e migliorando l’efficienza operativa. Il vino italiano può imparare da questo modello: differenziare il prodotto, ma ottimizzare l’intera catena produttiva per renderla più competitiva. Il modello LVMH lo dimostra: un mercato consolidato vale di più. Non perché standardizza, ma perché ottimizza e massimizza il valore.

LA STRUTTURA DEI COSTI: DOVE IL SETTORE STA BRUCIANDO MARGINI

Uno dei problemi strutturali più gravi del settore vinicolo italiano è la sua inefficienza operativa, che si traduce in una dispersione dei margini lungo tutta la filiera produttiva. Il modello frammentato attuale porta a un elevato costo unitario di produzione, a una mancanza di economie di scala e a una scarsa ottimizzazione delle risorse, rendendo il settore meno competitivo rispetto ai grandi gruppi vinicoli internazionali.

Ma dove finiscono i soldi? Quali sono le voci di costo che impediscono al settore di raggiungere livelli di redditività più alti?

Ripartizione dei costi attuali nel settore vinicolo

Abbiamo analizzato la struttura industriale del vino e identificato le fasi chiave della produzione, stimando l’incidenza percentuale di ciascuna componente sul costo totale:
Vineyard Management (Gestione del vigneto) – 20%
Costi legati alla coltivazione delle vigne, manutenzione del terreno, trattamenti fitosanitari e manodopera agricola. – La gestione agricola rappresenta una spesa rilevante a causa della frammentazione dei produttori e della scarsa condivisione di risorse tra aziende vicine. – Grape Processing (Lavorazione dell’uva) – 15% – Include la raccolta, la selezione e la pressatura delle uve. – I piccoli produttori non hanno impianti sufficientemente moderni per ottimizzare il processo e spesso devono ricorrere a servizi esterni più costosi.
Fermentation (Fermentazione) – 10% – Riguarda l’infrastruttura necessaria per la fermentazione del mosto, con costi legati a impianti, contenitori di acciaio o botti di legno e controllo della temperatura. – L’assenza di economie di scala fa sì che molte aziende non possano permettersi tecnologie avanzate per migliorare la resa e ridurre gli sprechi.
Aging & Storage (Affinamento e stoccaggio) – 18% – Include i costi di invecchiamento in botte e di conservazione del vino. – La necessità di lunghi periodi di maturazione, unita alla dispersione logistica, porta a costi elevati di immobilizzazione del capitale.
Bottling & Packaging (Imbottigliamento e confezionamento) – 12% – Costo delle bottiglie, etichette, tappi, scatole e materiali di imballaggio. – La frammentazione della produzione porta a volumi ridotti per singolo produttore, con costi unitari più alti rispetto ai grandi gruppi vinicoli internazionali.
Distribution & Logistics (Distribuzione e logistica) – 15% – Spese per la distribuzione nazionale e internazionale, con costi legati al trasporto, all’intermediazione commerciale e alle operazioni doganali. – L’assenza di un sistema centralizzato di logistica porta a costi maggiori e a inefficienze nei tempi di consegna.
Marketing & Branding – 10% – Spese pubblicitarie, promozionali e di posizionamento sui mercati internazionali. – La mancanza di un’identità forte e unitaria del vino italiano impedisce di sfruttare sinergie di marketing.

Potenziale di risparmio attraverso il consolidamento

Il consolidamento del settore e l’adozione di modelli più efficienti permetterebbero di ridurre drasticamente questi costi, aumentando la redditività complessiva.
Vineyard Management (-7%)
Creazione di consorzi per la gestione condivisa dei vigneti, utilizzo di tecnologie avanzate per l’ottimizzazione agricola, centralizzazione degli acquisti di materiali e trattamenti.
Grape Processing (-18%)
Standardizzazione della pressatura e della fermentazione attraverso impianti condivisi, riduzione degli scarti e ottimizzazione delle risorse idriche ed energetiche.
Bottling & Packaging (-22%) – Automazione della fase di imbottigliamento, utilizzo di impianti centralizzati per ridurre i costi di confezionamento, negoziazione con fornitori per ottenere condizioni più vantaggiose sui materiali.
Distribution & Logistics (-12%) – Creazione di hub logistici condivisi, miglioramento della gestione della supply chain e accesso diretto a mercati internazionali senza passaggi intermedi costosi.
Totale risparmio potenziale: fino al 50% sui costi complessivi.

Perché è necessario agire ora?

L’attuale frammentazione del settore non permette di sfruttare queste opportunità di risparmio. Le singole aziende, operando in modo indipendente e su scala ridotta, continuano a bruciare margini che potrebbero invece essere reinvestiti in innovazione, marketing e sviluppo internazionale.
L’aggregazione delle risorse e l’adozione di strategie di consolidamento industriale consentirebbero di migliorare la competitività del vino italiano, mettendolo finalmente alla pari con i grandi gruppi vinicoli globali.

Il consolidamento è complesso, ma quando eseguito correttamente, ridefinisce l’industria vinicola migliorando la redditività, la resilienza operativa e la competitività globale.
L’integrazione di più realtà vinicole in un unico sistema efficiente non è un processo lineare. La fusione tra aziende con storie, tradizioni e strutture operative diverse porta con sé numerose sfide, che se non affrontate strategicamente, possono compromettere il successo del consolidamento.
Differenze culturali – Identità aziendali, tradizioni regionali e filosofie di vinificazione diverse possono generare attriti e ostacolare l’armonizzazione.
Disparità tra le parti coinvolte – Differenze di dimensioni, solidità finanziaria e maturità operativa possono rallentare il processo di fusione, creando tensioni tra le aziende integrate.
Modelli operativi non allineati – Sistemi radicalmente diversi di gestione dei vigneti, produzione e distribuzione possono risultare difficili da armonizzare.
Mancanza di sensibilità verso l’identità del brand – Un’integrazione mal gestita può compromettere l’eredità di un marchio e ridurre la fedeltà dei consumatori.
Assenza di fiducia e rispetto – La resistenza da parte di fondatori, dipendenti e stakeholder può ostacolare l’adozione di un modello integrato, rallentando l’efficacia della transizione. Le difficoltà dell’integrazione possono facilmente sovraccaricare i team di leadership, causando inefficienze e ritardi.

M&A – Un’integrazione ben eseguita porta benefici strategici e competitivi:
Espansione rapida e scalabilità – Un processo di M&A (fusioni e acquisizioni) strutturato accelera il posizionamento sui mercati internazionali e l’accesso a nuove opportunità commerciali.
Sinergie operative e adozione delle best practices – Sfruttare le migliori tecniche di vinificazione, ottimizzare la supply chain e implementare piattaforme condivise permette di creare un vantaggio
competitivo duraturo.

Il potenziale di risparmio è troppo grande per essere ignorato:
Economia di scala nella produzione e negli approvvigionamenti → Una maggiore capacità produttiva e acquisti centralizzati riducono drasticamente i costi unitari.
Ottimizzazione della rete distributiva → Una distribuzione più efficiente e sinergica permette una migliore penetrazione nei mercati globali.
Investimenti condivisi in innovazione e R&D → La ricerca e sviluppo congiunta aumenta la redditività a lungo termine e accelera l’adozione di nuove tecnologie.

L’integrazione non è solo una questione di crescita, ma di sopravvivenza in un mercato sempre più competitivo. L’industria vinicola italiana deve affrontare queste sfide con una visione strategica chiara, abbandonando la frammentazione per costruire un modello più solido e resiliente.

Il tempo per agire è ora

I dazi saranno un problema enorme, ma il problema reale è la nostra vulnerabilità strutturale. Il modello attuale non permette al vino italiano di affrontare le sfide globali. Chi saprà guidare il cambiamento ne trarrà i maggiori benefici: potere contrattuale, capacità di investimento e leadership nei mercati internazionali.

La domanda non è più se il consolidamento avverrà, ma chi sarà abbastanza lungimirante da guidarlo. La frammentazione è un lusso che il vino non può più permettersi. Questa non è una discussione accademica. È una questione di sopravvivenza per il futuro del vino italiano.

Umberto Callegari
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