Prende forma l’eccezionalismo europeo
Gli Stati Uniti sono diventati imprevedibili generatori di volatilità. Venerdì 14 marzo la borsa americana ha terminato in rialzo una settimana che si è comunque conclusa in ribasso, nel segno dei timori per la possibile accelerazione dell’inflazione e il rallentamento della crescita.
La settimana era cominciata male, con le parole del presidente americano che ammetteva con disinvoltura la possibilità di una recessione. Trump aveva parlato di un possibile periodo di transizione “perché quello che stiamo facendo è molto grande”; il sottotitolo è che vale la pena soffrire un poco per “rendere di nuovo grande l’America” in una economia completamente ricablata, dove ci sarà così tanto denaro “da non sapere come spenderlo”.
Anche il Segretario al Tesoro Scott Bessent parla di “disintossicazione”, di un “aggiustamento naturale” dell’economia “quando ci allontaneremo dalla spesa pubblica”. Che l’amministrazione Trump voglia cambiare radicalmente la struttura dell’economia è un obiettivo plausibile e comprensibile, legittimato dal voto degli elettori americani. La storia economica insegna però che qualsiasi trasformazione comporta dei costi che i governi valutano sotto il profilo dell’opportunità politica e del consenso, non è poi così lontana la crisi che nei primi anni 2000 colpì i lavoratori americani del settore manifatturiero, esposti alla concorrenza del lavoro cinese.
I costi delle guerre commerciali ricadranno in buona misura sugli agricoltori e sui consumatori, le perdite azionarie si riverseranno sui 401k, gli schemi previdenziali che hanno mediamente un’esposizione alle azioni americane di circa il 43%.
Se le debolezze dell’economia e della borsa vengono derubricate a danni collaterali, si sbiadisce la fiducia nella “put” attribuita alle performance azionarie e i mercati reagiscono, non sembrano credere alla narrazione del “bumpy road”, un percorso accidentato al cui termine c’è la promessa della prosperità e del benessere. A differenza del 2016, i mercati non prendono più al valore facciale le parole del presidente, l’apprensione sopravanza l’entusiasmo.
Nella borsa americana ha preso l’avvio una imponente rotazione, torna la preferenza per i settori “value” e per le borse al di fuori degli Stati Uniti.
La posta che Trump e Vance hanno messo sul piatto è uno dei beni più preziosi, la fiducia. Il mantra “America first” per il momento non funziona e, a nostro giudizio, non può funzionare in un mondo così profondamente interconnesso, emerge infatti un inedito “rischio controparte”: gli Stati Uniti non sono più percepiti affidabili, si incrina la fiducia delle aziende e dei mercati. I paesi alleati non li considerano un partner fidato su cui contare, il governo canadese sostituisce Starlink, il governo portoghese riconsidera l’acquisto degli aerei da caccia F-35 a favore di velivoli di fabbricazione europea.
In una sorta di “fuga da New York”, gli investitori tornano a guardare con favore le borse europee, le valutazioni americane sono ancora care, il rapporto prezzo/utili a termine dello S&P 500 è a 20,9x, lo stesso valore dell’indice MSCI Europe è di 14,7x. Torna l’interesse anche verso la Cina, non a caso prudentemente silenziosa in queste concitate settimane.
Negli Stati Uniti Trump parla con disinvoltura di recessione, in Europa il futuro cancelliere Merz annuncia l’indicibile, il superamento del freno al debito e un imponente programma di investimenti pubblici. Delle due anime della politica economica di Trump, quella inflazionistica di dazi e tagli alle tasse, e quella deflazionistica dei tagli alla spesa pubblica, per ora si avvertono le conseguenze solo della prima, in Europa si parla invece di difesa comune, di riarmo, di ambiziosi piani di investimenti.
In una sorta di eterogenesi dei fini, il fenomeno MAGA sta cambiando radicalmente il paradigma ma non nel senso inteso dai suoi sostenitori: si opacizza l’idea dell’eccezionalismo americano, prende sempre maggiore consistenza la suggestione di un eccezionalismo europeo.
Cambiano anche le prospettive della politica monetaria: nella riunione della Federal Reserve di questa settimana non ci saranno sorprese ma i prezzi dei Fed Funds ora scontano due possibili tagli dei tassi da qui a fine anno, per contrastare i rischi di rallentamento e inflazione. In Europa va in scena il copione opposto, i banchieri di Francoforte potrebbero adottare comportamenti più restrittivi.
Da una parte i fondamentali dell’economia americana sono ancora credibili e le prospettive degli utili delle società tecnologiche favorevoli, dall’altra si avvertono primi segnali di allarme. I fondamentali hanno sempre ragione ma hanno bisogno di tempo per affermarsi mentre le correnti emotive prevalgono in pochi attimi.
Ampia diversificazione e tempo restano le due colonne portanti l’attività di gestione degli investimenti.

LMF green
Mente e denaro
Sala Stampa