Escalation dei dazi: Donald Trump come elemento rivoluzionario o come banale scheggia impazzita?
Escalation dei dazi—
Editoriale di Lapo Mazza Fontana —
Vi è certamente un dato di fatto che chiunque può constatare, pallottoliere alla mano: Trump non sa letteralmente cosa siano i dazi, che pure ama.
Avendo confuso i rapporti di bilancia commerciale con le tariffe daziarie, per comodità, follia o radicale incompetenza (caso questo che spesso, incredibilmente, impatta sulle vicende umane), è di per sé evidente che alla Casabianca continua a soggiornare un individuo a cui si farebbe fatica ad affidare uno scuolabus, non diversamente dal suo predecessore, o forse sarebbe meglio dire da molteplici suoi predecessori.
Ovviamente i sostenitori del leader del movimento MAGA/MAKE AMERICA GREAT AGAIN, nonché di ciò che resta del Partito Repubblicano, saranno sempre disposti a trovare spiegazioni, teoremi, dottrine più o meno sostenibili, scuse persino, anche di fronte alle più flamboianti assurdità proferite dal loro santone, non diversamente da un qualsiasi guru da fricchettoni in cerca di sé stessi in India o sotto l’influsso di pozioni allucinogene nella California del Sud.
Quindi Trump spara dazi per tutti inseguendo logiche protezioniste a tavolino e adesso la Cina, suo principale obiettivo insieme con la Unione Europea, risponde con una decisa rappresaglia, mentre gli euroservi come al solito guaiscono come cagnolini, di Pavlov ovviamente. Trump risponde a sua volta aumentando il carico; vedremo se la Cina risponderà a sua volta e dunque vedremo poi come andrà a finire, ma nel braccio di ferro tra USA e Cina quelli che hanno più da perdere sono gli americani, quindi ad occhio piuttosto non butterebbe bene per il Trump. Ce la farà lo stesso a spuntarla? Probabilmente no.
Certamente, la teoria di fondo che la globalizzazione sia fallita, al pari del capitalismo liberista, gioca in un primo momento a favore delle sparate di Trump e dei suoi groupies. Anche se ovviamente Trump non rinnega affatto il capitalismo liberista, anzi ne è un rappresentante estremo, essendo poi persino il leader della corrente anarco-liberista e configurando così un ennesimo paradossale nonsense, a perenne truffa dei babbei, quanto a perenne guadagno per il truffatore ed i suoi amichetti più furbi.
Quindi codesti benedetti dazi hanno senso o no, almeno per gli USA, e almeno per la logica annunciata di ricostruzione industriale e commerciale interna? Apparentemente no, perché oltre al rischio di ulteriore inflazione (e stavolta ancor di più potenzialmente mortale) in USA, per smontare il globalismo e la delocalizzazione industriale bisognerebbe avere a disposizione esattamente l’elemento che Trump massimamente schifa (almeno a parole), ovvero una massa di lavoratori sottopagati e senza tutele che facciano il lavoro sporco, che attualmente è geolocalizzato proprio in Asia. E ovviamente ci vorrebbero oltretutto uno o due decenni per realizzare tale faraonico progetto, e nel mentre Trump farebbe in tempo non solo a perdere le prossime elezioni, ma magari pure ad essere cacciato a furor di popolo, a rimbambirsi come il precedente Sleepy Joe Biden, o perfino a morire prima di vecchiaia. Una cosina così, tanto per gradire.
Quindi Trump, tra l’altro, invece di rafforzarlo dovrebbe abbattere il muro col Messico e far assumere giusto qualche milione di proletari sudamericani in cerca di lavoro. Mica male per il top grade del suprematismo bianco (a parole). Senza contare il dettagliuccio che entro pochi anni anche la classe operaia andrà direttamente in paradiso, come da celebre film di Elio Petri, con la proliferazione delle DARK FACTORIES totalmente robotizzate, e con la disoccupazione di massa generata (già oggi) dalla NON-INTELLIGENZA SUPERFICIALE dei tecnocrati, ovvero tramite la loro figlia prediletta, chiamata non a torto INTELLIGENZA ARTIFICIALE, poiché quella naturale umana risulterà anche stavolta decisamente deficiente.
Cosa succederà allora, presumibilmente?
Senza fare voli pindarici sul tavolo da gioco ci sono tutti gli elementi per un ennesimo autentico disastro yankee, cosa che di per sé non rappresenta certo una gran novità. L’assassinio di J.F. Kennedy e del fratello minore Bobby, la guerra del Vietnam, lo scandalo Watergate e le dimissioni di Nixon, lo scippo della presidenza di Al Gore e la truffa della elezione di G.W. Bush, le Twin Towers, il terrorismo islamico, le guerre-truffa in Iraq e Afghanistan, con conseguente disastro afghano nonché figuraccia epocale delle cosiddette armi di distruzione di massa irachene prima annunciate poi smentite (forse perché vendute dagli USA stessi, ma transeat), le teorie liberiste più sfrenate, e invariabilmente catastrofali, della scuola di Chicago e dei grandi e piccoli Milton Friedman con le sue matite prodotte a suon di lavoro in schiavitù nel Terzo mondo per garantire al primo di poterle buttare via come cannucce usate, la globalizzazione più infame e predatoria, il Fast Fashion, le follie dementi della Woke/Cancel subculture, Joe Biden che non si reggeva in piedi e la vice Kamala Harris in perenne stato confusionale, la follia di aver spinto i russi ad invadere la Ucraina e soprattutto di averli spinti nelle braccia di Pechino, gli eccidi sistematici di Gaza e l’appoggio incondizionato al criminale di guerra Netanyahu. E non paghi, adesso ci toccano Donald Dick Trump, il suo Rasputin personale Elon Ketamine Musk (e le sue Tesla alla brace), e ora perfino Peter Navarro, economista harvardiano vecchio ma bizzarro, neoconsulente di Trump, che Musk stesso chiama apertamente “un cretino, più scemo di un sacco pieno di mattoni”.
Riusciranno allora i nostri eroi a sconfiggere il Male, gli UFO e i perfidi cinesini mangia-tofu? Le premesse non sono buone. Ma c’è tempo perché la situazione peggiori anche di molto, per fortuna.

LMF green
Mente e denaro
Sala Stampa