Geopolitica delle macchine pensanti: l’ascesa della Robotica tra AI e cyber sicurezza
Geopolitica delle macchine pensanti
a cura del Prof. Marco Bacini, Direttore Master Intelligence per la Sicurezza Nazionale e Internazionale
Nel grande gioco delle superpotenze, la robotica intelligente ha smesso da tempo di essere una nicchia industriale per trasformarsi in leva strategica, moltiplicatore economico e strumento di dominio globale. La Cina, ancora una volta, avanza con metodo e risorse: il solo Key Special Program on Intelligent Robots, rifinanziato nel 2024 con 45,2 miliardi di dollari, segna un’accelerazione netta verso l’obiettivo dichiarato di controllare il 45% della produzione globale di servomotori (che servono per il controllo preciso del movimento robotico) entro il 2026. Dietro la spinta degli apparati centrali di Pechino, l’industria cinese non persegue solo l’autosufficienza, ma l’egemonia di filiera.
La risposta occidentale, benché frammentata, è tutt’altro che passiva. Gli Stati Uniti si muovono secondo una logica duale: da un lato, il Dipartimento della Difesa ha stanziato per il 2025 una cifra pari a 3,8 miliardi di dollari, destinata allo sviluppo di robotica militare con particolare attenzione ai droni autonomi del progetto Replicator. Dall’altro lato, il settore privato, vero propulsore dell’innovazione americana, accelera attraverso aziende come Tesla, con il progetto Optimus, e Boston Dynamics, che ha recentemente presentato la nuova versione del Robot Atlas 2. Secondo le stime più accreditate, il mercato USA della robotica crescerà con un CAGR del 14,7% fino al 2032, trainato da capitale privato, logiche di reshoring e nuove esigenze in campo civile e militare.
L’Europa sceglie un’impostazione più regolativa e integrata. La strategia robotica UE per il 2025 prevede la convergenza normativa dei 47 standard regionali in un unico framework ISO/TC 299, segno di una volontà, tutta europea, di costruire uno spazio comune di innovazione e controllo. I numeri iniziano a riflettere questa strategia: nel solo 2022 sono state installate oltre 72.000 unità industriali, con Germania e Italia in posizione dominante.
Ma il cuore della competizione non è la meccanica in sé: è la fusione tra intelligenza artificiale e robotica ad alimentare un nuovo paradigma. La Cina, con UBTECH, ha sviluppato il robot umanoide Walker X, basato su una rete neurale da 175 miliardi di parametri, ottimizzato per interazioni sociali avanzate. Negli Stati Uniti, l’Atlas 2 di Boston Dynamics incorpora algoritmi di Simultaneous Localization and Mapping (SLAM), che consentono una navigazione autonoma in ambienti sconosciuti. In Europa, il progetto TERAIS, finanziato con 2,1 miliardi di euro da Horizon Europe, combina robot collaborativi (cobot, ovvero Robot progettati per lavorare fianco a fianco con gli esseri umani) con intelligenza artificiale “explainable” per scenari ad alta criticità come le emergenze CBRN (Chimico Biologico Radiologico Nucleare).
La robotica, oggi, è già dentro le industrie più strategiche. Nel settore automotive, la Germania ha aumentato del 77% gli investimenti in robotica industriale dal 2018, trainata dalla spinta produttiva di KUKA, che sforna 4.800 unità all’anno. Negli Stati Uniti, General Motors ha ridotto i costi di deploy dei robot a poco più di 10.800 dollari per unità, con un abbattimento del 60% rispetto al 2017, grazie a logiche di scala e ottimizzazione supply-chain.
Anche la sanità rappresenta un laboratorio di eccellenza. L’Europa domina con l’85% delle prostatectomie robotiche globali effettuate tramite il sistema Da Vinci Xi di Intuitive Surgical, mentre startup emergenti come la francese Tediro stanno testando micro-robot per trattamenti oncologici di altissima precisione. E nella logistica, Amazon ha già implementato 150.000 robot Sparrow nei suoi centri di distribuzione, riducendo i tempi di picking del 40% e riconfigurando il concetto stesso di efficienza.
Lo scenario 2025-2030 promette evoluzioni importanti. Pechino punta a una densità robotica pari a 1.000 unità ogni 10.000 lavoratori nell’industria pesante entro il 2027. Gli Stati Uniti, attraverso l’Advanced Robotics for Manufacturing Institute, mirano a formare mezzo milione di specialisti in robotica entro il 2026. In Europa, l’AI Act in fase avanzata di discussione potrebbe limitare, per la prima volta su scala globale, l’autonomia decisionale dei sistemi d’arma letali (LAWS), definendo limiti operativi e responsabilità umane non derogabili.
Non mancano le vulnerabilità. L’Europa, ad esempio, dipende ancora dalla Cina per il 68% dei chip utilizzati nei sistemi robotici, un dato che espone il continente a rischi strategici e interferenze sulle filiere critiche. Allo stesso tempo, la sicurezza informatica resta un punto debole: secondo il report 2024 di Palo Alto Networks, il 42% dei cobot industriali analizzati presenta vulnerabilità ad alto rischio, rendendoli potenziali vettori di attacchi cyber.
Si delinea così un triangolo tecnologico in costante mutazione. Pechino capitalizza sulla massa, sugli investimenti pubblici e sulla rapidità di esecuzione. Washington costruisce leadership su frontiere tecnologiche avanzate, favorendo l’alleanza tra difesa e industria. L’Europa cerca la via dell’armonizzazione normativa, puntando su settori a elevata specializzazione e valore aggiunto. Ma la convergenza sarà forzata: da una parte, la Cina dovrà misurarsi con crescenti restrizioni tecnologiche, come quelle già imposte sui macchinari ASML (per la produzione di microchip). Dall’altra, Stati Uniti e Unione Europea accelerano sulle politiche di reshoring, cercando di riportare all’interno dei propri confini la produzione di tecnologie chiave.
La partita si giocherà anche su simboli e percezioni: la robotica antropomorfa, per molti ancora un’icona futuristica, diventerà la cartina di tornasole della nuova sfida industriale globale. Una sfida che va ben oltre l’automazione: riguarda la sovranità tecnologica, la sicurezza nazionale e, in definitiva, l’ordine mondiale del XXI secolo.

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