I dazi agitano i mercati

Carlo Benetti, Market Specialist di GAM. -

Il mantra “America First” ha innescato una sorprendente reazione a catena nell’economia reale e nei mercati finanziari: l’aumento dei prezzi di beni e servizi amplifica i timori che l’economia americana stia per affrontare un periodo di crescita tiepida e di inflazione elevata. L’ultimo sondaggio di Bank of America presso i gestori registra l’aumento della sfiducia e un appetito per il rischio molto tiepido, i flussi dei capitali abbandonano i settori “growth” a favore dei settori “value”, vanno da ovest ad est, favorendo così i risultati delle borse europee superiori a quelli di Wall Street.

La reazione a catena non si è interrotta venerdì 28 marzo. Il peggioramento dei dati di inflazione e del sentiment dei consumatori, ai livelli più bassi dal 2021, preavverte il possibile calo dei consumi e il malumore si è riversato in un’altra giornata pesante per le azioni americane.

L’oro ha toccato un nuovo record, salgono i prezzi delle obbligazioni, il rendimento del Treasury a dieci anni è sceso a 4,25%, gli spread nel credito di minore qualità si allargano.

Oggi, 2 aprile, il cosiddetto “Liberation Day” secondo la narrativa trumpiana, entrano in vigore le aliquote sulle importazioni di auto e verrà annunciata una nuova salva di misure tariffarie. Le tariffe costituiscono il pilastro della nuova economia americana e pazienza se la prima salva di dazi ha alterato le prospettive dell’economia reale e agitato i mercati.

È invece probabile che il 2 aprile diventi il “Liberation Dismay”, il giorno dello sgomento per una “liberazione” inesistente e semmai costosa. Comincia una fase nuova in cui sarà Wall Street a pagare il pegno maggiore. Non sarà una fase breve, non sappiamo come sarà il “Liberation Day” ma sappiamo che la politica dei dazi non porta da nessun’altra parte diversa dalla debolezza economica e prezzi in aumento.

Probabilmente ci sarà una escalation nella guerra commerciale, i partner degli Stati Uniti si sono già dichiarati pronti ad applicare misure di ritorsione, l’Unione Europea contrasterà le tariffe americane con dazi che colpiranno le merci americane per un valore di ventotto miliardi di dollari (se approvati dagli Stati membri dell’Unione entreranno in vigore il 12 aprile).

Le misure ritorsive cinesi si applicheranno a un valore di circa ventidue miliardi di dollari, in gran parte prodotti agricoli che faranno male a una parte della constituency elettorale di Trump. Il Canada sta già applicando dazi su oltre venti miliardi di dollari di merci americane e ha recentemente fatto seguito con una nuova serie di misure per altri ventuno miliardi di dollari.

C’è ancora molta incertezza sugli annunci, vedremo se la “Trump put” sia davvero “out of the money”, per il momento sappiamo con certezza che l’aumento dei costi ricadrà in buona misura sui consumatori attraverso prezzi più alti e pressioni al ribasso sulla crescita economica.

I mercati avvertono il cambio di passo che rende l’Europa più interessante agli occhi degli investitori. Cambiano le prospettive e l’idea che il 2025 sarebbe stato un altro anno americano è superata dai fatti: la retorica “primatista” di Trump ha portato l’agenda Draghi tra le priorità delle leadership europee: i leader europei hanno (finalmente) preso in mano il proprio destino, cominciano a spendere e parlano con disinvoltura di nuovo debito.

Ma mettere in evidenza le prospettive della crescita economica e del mercato azionario europei non significa ribaltare il tavolo dell’asset allocation: i dazi faranno male anche alle aziende europee, automotive in testa.

In Europa c’è però un settore che potrebbe sopportare un po’ meglio le bordate dei dazi. Alcune grandi case del lusso hanno già impianti negli Stati Uniti, valuteranno se e come estendere la produzione anche ai modelli iconici attualmente confezionati in Europa. Altre Case hanno aumentato in questi mesi le spedizioni negli Stati Uniti per accumulare scorte esenti dalle misure tariffarie. Ferrari ha annunciato un aumento del prezzo delle nuove vetture e gli ordini sono sufficienti ad assorbire la produzione dei prossimi due anni.