la settimana dei mercati (31 marzo – 4 aprile 2025) – Il commento di Mark Dowding, Fixed Income CIO di RBC BlueBay

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In sintesi

Gli investitori si danno alla fuga dopo la raffica di dazi di Trump. Sui mercati valutari, il Liberation Day ha visto gli investitori abbandonare il dollaro.
Secondo le nostre stime, con un dazio medio globale di circa il 18%, pensiamo che la crescita degli Stati Uniti rallenterà a circa l’1% nei prossimi trimestri, con un’inflazione che tornerà al 5%.
Anche in Europa vediamo prospettive di rallentamento della crescita e di aumento dei prezzi, a causa delle ritorsioni dell’UE.
Dubitiamo che la Bce e la Fed saranno in grado di fornire molto in termini di allentamento monetario per attutire il colpo.
L’isteria a breve termine sui dazi potrebbe lasciare il posto a un’accettazione a medio termine. Tuttavia, le prospettive a lungo termine rimangono estremamente incerte.

L’avversione al rischio ha spinto i titoli azionari a indebolirsi e quelli obbligazionari a rafforzarsi questa settimana, sulla scia dell’annuncio dei dazi di Trump per il Liberation Day. Sebbene ci fosse molto clamore prima dell’annuncio del 2 aprile, sembra che molti investitori abbiano mantenuto una view compiacente, nella speranza che il Presidente confermasse il detto “can che abbaia, non morde”.

Tuttavia, il risultato è stato una complessa serie di dazi a varie aliquote su base globale, che ha scatenato le preoccupazioni degli investitori in merito all’impatto di queste misure, sia sulla crescita che sull’inflazione.

Nella nostra analisi, stimiamo un dazio medio globale di circa il 18% e, su questa base, pensiamo che la crescita degli Stati Uniti rallenterà a circa l’1% nei prossimi trimestri, mentre l’inflazione balzerà al 5% circa.

Se così fosse, continuiamo a ritenere che sarà difficile per le banche centrali reagire con un allentamento dei tassi e quindi il rally dei rendimenti obbligazionari a cui abbiamo assistito appare, secondo la nostra valutazione, eccessivo.

Riflettendo sulla Federal Reserve, Powell si sta avviando verso i suoi ultimi 12 mesi di mandato e sa che Trump probabilmente gli darà la colpa, indipendentemente da ciò che farà o non farà. Tuttavia, mentre riflette sulla sua eredità, sospettiamo che non voglia essere ricordato come il presidente della Fed che ha perso il controllo dell’inflazione non solo una, ma due volte, durante il suo mandato.

Riteniamo che la Fed non farà nulla nel prossimo futuro, a patto che non si verifichi un forte aumento della disoccupazione, che potrebbe scatenare timori di recessione. Tuttavia, con l’inizio di una certa crescita dei posti di lavoro nel settore manifatturiero statunitense e il rallentamento dell’immigrazione, che riduce il margine di flessibilità del mercato del lavoro, riteniamo che la disoccupazione possa aumentare solo marginalmente nei prossimi mesi.

Anche in Europa vediamo prospettive di rallentamento della crescita e di aumento dei prezzi, a causa della risposta dell’UE ai dazi di Trump. Come per gli Stati Uniti, dubitiamo che la Bce sarà in grado di intervenire molto sull’allentamento monetario. Rimaniamo scettici verso la valutazione di 65 pb di tagli previsti entro la fine dell’anno. L’allentamento della politica fiscale nell’UE probabilmente compenserà la necessità di un allentamento monetario. Da questo punto di vista, si ha l’impressione che la risposta fiscale sia quella appropriata a uno shock dell’offerta, come i dazi.

Potremmo aspettarci che anche altri paesi con spazio fiscale cercheranno di impiegarlo, per attutire gli impatti negativi che sono destinati a manifestarsi. A questo proposito, c’è da chiedersi quanto velocemente le misure di spesa possano essere impiegate in modo da sostenere la crescita, anche se si è consapevoli che la politica monetaria è lo strumento sbagliato da impiegare in questo momento.

Altrove in Europa, l’evento clou della settimana è stata la sentenza del tribunale francese che ha vietato a Marine Le Pen di candidarsi per i prossimi cinque anni. Questo la esclude potenzialmente da un tentativo di candidatura alla presidenza del 2027.

Tuttavia, una corte d’appello di Parigi si pronuncerà sul verdetto di Le Pen la prossima estate e, inoltre, si potrebbe pensare che i giudici francesi abbiano imparato dall’esempio degli Stati Uniti che l’uso dei tribunali per cercare di bloccare un candidato presidenziale popolare può facilmente finire con l’accrescere la simpatia e il sostegno nella sua direzione.

Inoltre, Le Pen ha il pretesto per far cadere il governo francese e indire nuove elezioni parlamentari quest’estate. Queste elezioni potrebbero essere vinte dal suo partito e Bardella potrebbe diventare il prossimo primo ministro della Repubblica francese. Su questa base, manteniamo una certa cautela sugli OAT francesi e continuiamo a preferire i BTP italiani su una base di spread relativo.

A differenza dell’Eurozona, la situazione del Regno Unito è più difficile, in quanto il paese non dispone di spazio fiscale. L’inflazione interna è problematicamente elevata e potrebbe aumentare ulteriormente in caso di guerra commerciale, anche se il Regno Unito è riuscito a rimanere fuori dalla mischia, con un’aliquota tariffaria statunitense di appena il 10%.

Abbiamo la netta sensazione che la Banca d’Inghilterra voglia tagliare i tassi, se possibile, e uno spiraglio potrebbe presentarsi alla riunione del MPC di maggio, prima della pubblicazione dell’IPC di aprile. Tuttavia, riteniamo che un taglio dei tassi nel Regno Unito sarebbe un errore politico e che l’IPC salirà intorno al 4% quest’estate.

In Giappone c’è stata delusione per l’innalzamento dei dazi, mentre i funzionari politici speravano in un trattamento più favorevole da parte dell’amministrazione statunitense. In ultima analisi, non ci sorprenderà vedere i dazi giapponesi ridotti, dato il desiderio di Washington di mantenere uno stretto rapporto con Tokyo e considerando l’importanza strategica del Giappone per gli Stati Uniti, che devono affrontare la Cina.

A questo proposito, è chiaro che gli Stati Uniti vorrebbero vedere uno yen più forte, e questo è un punto su cui anche i policymaker giapponesi sarebbero d’accordo. In questo contesto, e con la riduzione dei differenziali di crescita e dei tassi d’interesse, riteniamo che lo yen possa salire ulteriormente nelle prossime settimane.

Nei mercati valutari, il Liberation Day ha visto gli investitori abbandonare il dollaro, che è sceso rispetto a quasi tutte le valute dei mercati sviluppati. In parte, ciò sconta l’indebolimento delle prospettive di crescita degli Stati Uniti e la fine dell’eccezionalità della crescita americana.

Inoltre, vale la pena citare anche gli spostamenti dei flussi di capitale, via via che gli investitori globali si ritirano dai titoli statunitensi a favore di quelli più vicini a casa. A parte lo yen, siamo cauti nell’inseguire le mosse dei cambi in un contesto di elevata incertezza, anche se diverse valute emergenti potrebbero essere esposte all’esaurimento dei carry trade, oltre agli sviluppi negativi sul fronte del commercio e della crescita globale.

In questo contesto, continuiamo a segnalare come potenzialmente vulnerabili il peso colombiano e il baht thailandese. Abbiamo inoltre aggiunto una posizione corta sul rand sudafricano, che a nostro avviso ha resistito molto meglio del previsto.

Gli spread creditizi si sono ampliati in linea con altri asset di rischio, anche se il movimento dei prezzi è stato più contenuto rispetto all’azionario. Il grande interrogativo che gli investitori si pongono per il credito è se un rallentamento della crescita possa trasformarsi in una recessione e, in questo caso, in un ciclo di default.

A questo proposito, vediamo che i bilanci del credito investment grade sono relativamente solidi, e non ci preoccupiamo della parte più indebitata e di qualità inferiore del mercato del credito, in aree come il private debt.

Un allargamento degli spread nei prossimi giorni e settimane potrebbe rappresentare un’opportunità per rimuovere le coperture sui CDS e aggiungere esposizione. Tuttavia, vorremmo sentirci più sicuri che la discesa dei titoli azionari abbia raggiunto il punto di minimo, prima che ciò accada.

Guardando avanti

Si ha l’impressione che gli annunci dei dazi statunitensi siano ormai alle spalle e che, con l’assestamento del flusso di notizie, si possa sperare che la volatilità del mercato si riduca. Quando ciò sarà avvenuto, potremmo vedere livelli di ingresso interessanti per aggiungere posizioni corte sui tassi, in previsione del fatto che le banche centrali si opporranno alle aspettative del mercato di un prossimo allentamento monetario. Tuttavia, l’azione dei prezzi dei titoli azionari nel breve termine è incerta.

Negli ultimi sei mesi abbiamo visto gli investitori statunitensi acquistare abitualmente sui minimi ogni volta che il mercato azionario è stato sotto pressione, e lo stesso potrebbe valere nei prossimi giorni. Tuttavia, potrebbe arrivare il momento in cui l’entusiasmo per l’acquisto di titoli inizierà a scemare, soprattutto se si considera che i tracker a leva, come l’S&P 3x, sono ora scambiati a un prezzo inferiore a quello di fine 2021.

In questo caso, una correzione più profonda potrebbe essere giustificata, soprattutto se diventasse chiaro che le banche centrali non accorreranno in soccorso. A questo proposito, ci è stato spesso chiesto di commentare l’idea di un “Fed (o Trump) put” sugli indici azionari.

Tuttavia, quando discutiamo di questa idea con i banchieri centrali, sembra chiaro che i mercati dovrebbero crollare molto più di quanto non abbiano fatto perché questa idea attiri una reale attenzione. In un certo senso, il vero “Fed put” entrerebbe in funzione se la disoccupazione negli Stati Uniti raggiungesse il 5% o i mercati del credito andassero in tilt. Altrimenti, occorrerebbe che l’S&P scendesse ben al di sotto di 5.000, prima che un inasprimento delle condizioni finanziarie faccia sentire la Fed costretta ad agire. Va inoltre notato che, per quanto riguarda i sostenitori di Trump, pochi di loro detengono effettivamente dei titoli azionari.

In effetti, sono soprattutto i democratici a detenere titoli azionari, il che potrebbe spiegare quanto l’amministrazione statunitense sembri relativamente disinteressata a parlare di titoli azionari in questo momento. A questo proposito, è stato interessante sentire Scott Bessent che questa settimana ha definito i recenti movimenti dei prezzi delle azioni come un problema per le Mag7 e non per il MAGA.

Guardando avanti, ci aspettiamo che alla fine l’amministrazione statunitense passerà dai dazi tramite ordini esecutivi, a un dazio universale legiferato dal Congresso, che potremmo ipotizzare al 10%, ma che sarà attuato solo molto più avanti nel corso dell’anno.

A questo proposito, si può sperare che l’isteria a breve termine per i dazi lasci il posto all’accettazione a medio termine, e questo potrebbe far sperare in un miglioramento delle prospettive per il 2026. In questo contesto, se l’anno prossimo l’economia statunitense si riprenderà, Trump, Musk e i suoi colleghi si congratuleranno senza dubbio per essere riusciti ad attuare un cambiamento che renderà l’America di nuovo grande.

Tuttavia, questo è solo uno dei possibili scenari e c’è una narrativa alternativa, ovvero che l’amministrazione statunitense si sia resa colpevole di un esercizio di autolesionismo senza precedenti e che il danno arrecato all’economia americana necessiti di anni per essere rimosso.

Di certo, le prospettive a lungo termine sono estremamente incerte. Ciò su cui riteniamo di poter essere più fiduciosi nel breve termine è che l’inflazione è destinata ad aumentare. Di conseguenza, se i mercati sopravvalutano la narrativa della recessione e si aspettano un numero eccessivo di tagli dei tassi, potrebbero esserci guadagni adottando la prospettiva opposta.