Trump vuole deliberatamente affossare dollaro ed economia americana? Bizzarra teoria, ma … quanto è credibile?

L’idea della de-dollarizzazione
Questa è una tendenza reale a livello globale, ma non è partita da Trump: Paesi come Cina, Russia, Iran, Brasile, stanno cercando da anni di ridurre la loro dipendenza dal dollaro, anche come risposta a sanzioni USA. Si parla sempre più di scambi in valute locali o utilizzo di oro e criptovalute per bypassare il sistema SWIFT. Comunque sarebbe una spinta multipolare, non qualcosa di riconducibile direttamente a Trump.
Trump ha espresso simpatie per l’oro in passato: ad esempio ha nominato Judy Shelton al board della Fed (una sostenitrice del gold standard) e ha criticato il dollaro “troppo forte”, perché penalizza l’export USA. Ma il ritorno al gold standard è altamente improbabile nel sistema economico attuale. Implicherebbe una restrizione monetaria enorme e potenzialmente disastrosa per un’economia basata sul debito come quella USA.
“Affossare l’economia americana” di proposito: ma chi ci crede?
Questa parte della teoria è la meno credibile: un presidente, anche se populista, non ha interesse ad distruggere l’economia nazionale, anche solo per motivi elettorali o geopolitici. Trump ha sempre fatto leva sul successo economico durante il suo primo mandato come arma elettorale E L’economia USA è interconnessa col resto del mondo: danneggiarla significherebbe perdere leadership globale più che “reinventare il sistema”.
La narrativa alternativa: la “grande rivalità multipolare”
Una lettura meno estrema (e più seria) vede Trump simpatizzare per un mondo multipolare, meno globalista, più orientato a rapporti bilaterali, e più “duro” verso la Fed e le istituzioni tradizionali. Questa narrativa include un ritorno alla sovranità monetaria e un interesse per l’oro come “bene rifugio”: nel complesso, meno fiducia nel sistema del debito infinito. Ma questa posizione è più ideologica, non necessariamente distruttiva.
Il ruolo attuale del dollaro
Il dollaro è ancora oggi la valuta di riserva globale per eccellenza, ma la sua centralità è sotto pressione come mai prima. Ecco un quadro aggiornato e bilanciato.
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Circa 60% delle riserve valutarie globali sono in dollari (dati FMI).
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Viene utilizzato in oltre l’80% delle transazioni globali.
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È il pilastro del sistema SWIFT e degli scambi di petrolio e materie prime (“petrodollaro”).
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Il debito globale in dollari è enorme: molti Paesi (specialmente emergenti) dipendono da esso.
La sfida multipolare
Negli ultimi anni, molti Paesi stanno tentando di ridurre la dipendenza dal dollaro.
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Russia e Cina stanno usando valute locali per il commercio bilaterale.
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La Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS promuove prestiti in valute alternative.
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L’Arabia Saudita ha firmato accordi per vendere petrolio in yuan, rompendo un tabù storico.
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Crescono i pagamenti in oro fisico fra banche centrali (es. Turchia, Iran, Russia).
Debito, inflazione e fiducia
Il dollaro si basa su tre pilastri:
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Fiducia negli Stati Uniti (stabilità politica, legale, economica).
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Controllo della Fed sull’inflazione.
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Capacità di attrarre capitali (obbligazioni, mercato azionario).
Ma negli ultimi anni il debito pubblico USA ha superato i 34.000 miliardi di dollari e l’inflazione post-Covid con il rialzo dei tassi ha scosso la fiducia nel sistema. Cresce la percezione che gli USA stiano abusando del dollaro come arma geopolitica (es. sanzioni, congelamento di riserve estere).
Alternative emergenti
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Yuan cinese: in forte ascesa nel commercio, ma manca di convertibilità e trasparenza.
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Euro: ancora stabile, ma manca di un’unione politica e militare,
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Oro e criptovalute: crescono come riserve di valore, ma non sono ancora strumenti di scambio sistemici.
Nessuna valuta singola può sostituire il dollaro oggi, ma insieme stanno creando un sistema più frammentato.
Il futuro: declino o trasformazione?
Alcuni analisti parlano di “slow de-dollarization”, un processo graduale, non uno shock improvviso. Altri prevedono un mondo multi-valutario, dove il dollaro resta importante ma non più onnipotente. Gli USA potrebbero anche reagire spingendo per un dollaro digitale (CBDC) o una nuova Bretton Woods 2.0.

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