Capital Group: Dalla divergenza alla convergenza?
l ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e l’annuncio di dazi reciproci che si sono rivelati più draconiani del previsto pongono una seria minaccia alla crescita e aumentano notevolmente le possibilità che gli Stati Uniti entrino in recessione nel 2025. È importante notare che l’incertezza politica derivante dal continuo mutamento dello scenario commerciale è, di per sé, destinata ad avere un effetto negativo sugli investimenti e sui consumi. Per contro, la risposta europea, improntata a un maggiore stimolo fiscale, contribuisce a sostenere la crescita, compensando in parte l’effetto negativo dei dazi. Da questa prospettiva, osserviamo che la dinamica tra le due economie sembra essere passata da una fase di divergenza a una potenziale convergenza, con un’Europa rivitalizzata e un aumento dei rischi che potrebbero portare gli Stati Uniti a una crescita più lenta e a una possibile recessione.
Inizialmente, i mercati hanno reagito in maniera estremamente positiva alla vittoria elettorale di Donald Trump, concentrandosi sulle sue proposte di politiche pro-crescita, come tasse più basse e deregolamentazione. Tuttavia, da gennaio, la situazione è cambiata, con l’amministrazione che ha esordito con decisione introducendo dazi aggressivi. Secondo il mercato, queste politiche sono di natura stagflazionistica e rischiano di ridurre il potenziale di crescita dell’economia statunitense. La reazione dell’Europa, con la sua politica fiscale, potrebbe aver innescato una rinascita della crescita nel Vecchio Continente.
La ragione principale per cui la crescita economica degli Stati Uniti rimane forte è in gran parte dovuta alla resilienza dei consumi. La politica economica e commerciale USA è diventata però sempre più imprevedibile e tale incertezza potrebbe ora pesare sia sugli investimenti commerciali che sui consumi.
Una rinascita europea?
La svolta americana verso un’economia mercantilista mette in luce le vulnerabilità dell’Europa. Tuttavia, i Paesi europei hanno reagito rapidamente, con una serie di politiche che orientano l’economia verso una fase ciclica di crescita più positiva. Tra queste, spiccano le proposte del nuovo Cancelliere tedesco Friedrich Merz, che con un drastico cambiamento nella politica fiscale della Germania intende portare a un notevole aumento della spesa per la difesa e le infrastrutture. In aggiunta all’aumento nella spesa tedesca, il programma di riarmo proposto dalla Commissione europea mira ad aumentare la spesa per la difesa negli Stati membri di 800 miliardi di euro attraverso modifiche alle normative fiscali europee.
A lungo, la produttività europea è rimasta indietro rispetto a quella degli Stati Uniti. Se, tuttavia, la produttività statunitense dovesse indebolirsi e, contestualmente, quella europea rafforzarsi, potrebbe verificarsi non solo una convergenza ciclica, ma anche strutturale, fra le due economie. I cambiamenti proposti in Germania e nell’Eurozona sono estremamente significativi. La domanda che si pone, ora, è se questo cambiamento può portare a trasformazioni in grado di affrontare alcune delle debolezze strutturali dell’Eurozona. È finalmente arrivato il “momento hamiltoniano”[1] in cui l’Europa federalizza il suo debito? Se così fosse, l’Eurozona potrebbe non solo rafforzarsi ciclicamente, ma anche diventare strutturalmente più resiliente.
L’eccezionalismo statunitense è destinato a sopravvivere nel lungo termine?
Gli Stati Uniti hanno goduto di un lungo periodo di crescita, principalmente legato ai consumi e a una produttività più elevata, e questo eccezionalismo ha contribuito ad attrarre i risparmi in eccesso mondiali e dunque ad alimentare i deficit gemelli. Lo status di valuta di riserva del dollaro statunitense, inoltre, contribuisce a sostenere questi afflussi. Per gli investitori più sensibili al prezzo, tuttavia, la portata del deficit di bilancio potrebbe rivelarsi più difficile da gestire. In un momento in cui il mercato del lavoro degli Stati Uniti è solido, l’America registra un disavanzo primario del 4% del PIL.
In aggiunta al deficit primario, gli Stati Uniti registrano da decenni un deficit delle partite correnti. Il deficit delle partite correnti consente agli Stati Uniti di mantenere un livello di spesa per gli investimenti più elevato rispetto a quello che sarebbe possibile se dovessero basarsi solo sul risparmio generato internamente. Una variazione di queste dinamiche e un miglioramento della situazione europea potrebbero portare a una convergenza strutturale delle due economie.
Muoversi in fretta e rompere gli schemi potrebbe avere conseguenze indesiderate
La straordinaria produttività dell’America e la sua eccezionale posizione di deficit sono caratteristiche evidenti e interconnesse del suo eccezionalismo. I risparmi in eccesso del resto del mondo sono affluiti negli Stati Uniti, in parte, proprio grazie all’elevata produttività. Esiste ora il rischio che questa dinamica possa cambiare. Lo scenario più favorevole sarebbe quello di un “Plaza 2.0”, ovvero della stipula di un nuovo accordo su modello di quello del Plaza. Si tratterebbe di una riconvergenza ordinata tramite un accordo multilaterale in cui i Paesi decidono volontariamente di rafforzare le proprie valute rispetto al dollaro statunitense. Contemporaneamente, la politica fiscale americana si inasprirebbe per ridurre le pressioni inflazionistiche derivanti da un dollaro più debole. L’idea si ispira al celebre accordo del Plaza sottoscritto nei primi anni ‘80. All’epoca, di fronte ai deficit gemelli e a un dollaro sopravvalutato, il governo degli Stati Uniti negoziò un’intesa con i propri alleati (Regno Unito, Francia, Germania Ovest e Giappone) per indebolire il dollaro USA rispetto alle loro rispettive valute. Tuttavia, l’attuale contesto economico e geopolitico è molto diverso da quello dei primi anni ’80; oggi è la Cina a detenere un ampio surplus sia delle partite correnti sia commerciale nei confronti degli Stati Uniti. Un nuovo accordo richiederebbe quindi non solo l’intesa tra alleati, ma anche la cooperazione della Cina e alla luce delle recenti politiche dell’amministrazione americana, ciò appare poco probabile.
Implicazioni cicliche per gli investimenti
Il contesto macroeconomico è chiaramente in evoluzione. Come punto di partenza, nonostante la volatilità del mercato, i rendimenti rimangono elevati, offrendo una protezione contro i cambiamenti negli spread e nei tassi. Oggi, a seconda della qualità dell’emissione, i mercati obbligazionari offrono rendimenti compresi tra il 4% e l’8% nei vari settori. Il contesto macroeconomico in continua evoluzione sottolinea l’importanza di adottare una visione a lungo termine. Crediamo che gli investitori dovrebbero concentrarsi su opportunità idiosincratiche in grado di sfruttare la dispersione creata e che siano più resilienti in questo contesto. Un buon esempio di queste opportunità è rappresentato dalle utility elettriche, emittenti solidi e difensivi, non direttamente esposti all’impatto dei dazi.
Un’area di opportunità sono i mercati emergenti, in particolare le obbligazioni in valuta locale in America Latina e Asia. I fondamentali di molte economie dei ME rimangono relativamente solidi, con una buona capacità di servizio del debito grazie all’accumulo di riserve. L’inflazione ha subito una consistente moderazione rispetto ai picchi del 2022 e sta generalmente sperimentando un trend discendente in un contesto di politica monetaria ancora restrittivo. Una crescita globale più debole dovrebbe avere un impatto negativo sulle valute e sul credito dei mercati emergenti ma questo, insieme alla disinflazione derivante dai dazi e ai prezzi delle materie prime più bassi, dovrebbe consentire un allentamento monetario maggiore, sostenendo i titoli in valuta locale dei mercati emergenti, dove vediamo numerose opportunità.
Questo è un momento cruciale per l’economia globale, con molte certezze degli ultimi 40 anni o più che sembrano messe in discussione. Il risultato rimane altamente incerto. Pertanto, continuiamo a posizionare i portafogli in base ai fondamentali sottostanti, che a nostro avviso rimangono solidi, in particolare nel credito societario e in molti

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