Commento GAM – La Musa dei Mercati – Trump accelera la dedollarizzazione
Il dollar index ha subito un calo di oltre il 10% dal massimo di inizio gennaio al minimo di fine aprile, penalizzato dalle politiche di Trump. Questo declino solleva interrogativi sulle sue implicazioni di lungo termine per l’economia americana e la sua leadership globale.
Tradizionalmente, il dollaro si rafforza nei periodi di crisi economica o geopolitica ma, da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, la valuta americana ha perso circa il 6% rispetto al paniere delle principali valute globali. Il calo è legato soprattutto all’incertezza generata dai nuovi dazi sulle importazioni: annunciati, modificati a più riprese e infine sospesi, l’effetto finale è stato quello di destabilizzare aziende e investitori. Trump non sembra molto preoccupato anzi, ha più volte auspicato un dollaro debole per favorire le esportazioni e rilanciare il manifatturiero americano. Tuttavia, una valuta debole ha implicazioni profonde: fa aumentare i prezzi dei beni importati alimentando l’inflazione interna e, per certi versi, indebolisce la leadership economica americana sempre più messa in discussione a livello globale. Anche se il dollaro resta la valuta di riferimento per il commercio internazionale, tale supremazia è sotto pressione: servono, infatti, una democrazia forte e una Banca Centrale indipendente per sostenere lo status di valuta di riserva. La svalutazione del biglietto verde riflette, inoltre, preoccupazioni su una possibile recessione economica negli Stati Uniti causata dai dazi, con relativa accelerazione da parte della Fed sui tagli ai tassi d’interesse.
Anche l’attuale livello del debito pubblico, il più alto dalla Seconda Guerra Mondiale, alimenta le preoccupazioni sul dollaro. La crescita eccessiva del debito Federale potrebbe, col tempo, erodere la fiducia degli investitori in merito alla capacità del Paese di onorare i propri obblighi finanziari. Se la tendenza al ribasso persisterà anche nel lungo periodo, gli effetti si faranno sentire nella vita quotidiana dei consumatori americani. Un dollaro più debole comporterà tassi strutturalmente più alti, aumentando i costi su mutui, prestiti auto e debiti su carte di credito.
Tassi più alti significheranno anche maggiori spese di rifinanziamento del deficit di bilancio per il governo americano, il che porterà tagli al budget di spesa governativa. Gli investitori internazionali hanno già iniziato a diversificare la loro esposizione valutaria, rifugiandosi in beni come oro, euro e yen. Ad aprile, il metallo prezioso ha raggiunto un record storico di 3500 dollari l’oncia, spinto dalle incertezze globali. Il dollaro più debole ha anche alimentato afflussi di capitali speculativi nei mercati emergenti asiatici, che presentano valutazioni più basse sui listini azionari e rendimenti più elevati sulle obbligazioni sia governative che corporate. Taiwan ha registrato oltre 7 miliardi di dollari investimenti sul mercato azionario nel mese di maggio ed è sulla buona strada per un mese da record, trainata dal rafforzamento del dollaro taiwanese e dal rinnovato entusiasmo per la domanda di chip legati all’intelligenza artificiale. Anche la Cina ne sta beneficiando, grazie all’improvviso cambiamento di aspettative, da una svalutazione dello yuan a un suo apprezzamento, che ha sostenuto l’ingesso di capitali sul mercato azionario domestico delle A-share.

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