Nessuna svendita di titoli statunitensi
Nelle ultime settimane si è intensificato il dibattito sull’ipotesi che gli investitori internazionali si stiano allontanando dal dollaro statunitense e dagli asset americani. La politica dei dazi della nuova amministrazione USA avrebbe spaventato gli investitori a livello globale – o almeno così suggeriscono alcune analisi. L’idea è che gli investitori stiano ritirando i propri capitali dagli Stati Uniti per reinvestirli in altre aree geografiche. L’andamento del dollaro sembrerebbe confermare questa teoria: il Bloomberg Dollar Spot Index, che misura la performance del biglietto verde in modo ampio, ha perso circa il 9% dall’inizio dell’anno.
Alcuni dati relativi ai fondi sembrano avvalorare questa tesi. Il sondaggio mensile di giugno condotto da Bank of America tra i gestori di fondi mostra che la preoccupazione per la situazione statunitense ha portato a un sottopeso degli asset in dollari ai livelli più bassi degli ultimi 20 anni. Tuttavia, riteniamo che questi numeri vadano interpretati con cautela, poiché altre evidenze relative al posizionamento degli investitori offrono un quadro diverso.
I dati TIC (Treasury International Capital) pubblicati dal Dipartimento del Tesoro USA consentono un’analisi più approfondita e rappresentano probabilmente la panoramica più completa dei flussi di capitale in entrata e in uscita dagli asset statunitensi. Il limite di questi dati è che vengono pubblicati con un certo ritardo. Tuttavia, la pubblicazione dei dati relativi ad aprile, avvenuta la scorsa settimana, fornisce un primo spunto di riflessione sulle eventuali variazioni nell’allocazione dei capitali in seguito agli annunci di dazi da parte dell’amministrazione Trump.
I dati di aprile mostrano un deflusso netto nelle partecipazioni estere in titoli di Stato americani pari a circa 36 miliardi di dollari. Tuttavia, considerando che le partecipazioni estere totali superano i 9.000 miliardi di dollari, tale riduzione appare del tutto marginale. Va però sottolineato che esistono differenze significative nei flussi a livello di singolo Paese. Il calo più marcato si è registrato nelle partecipazioni canadesi, diminuite di circa 58 miliardi di dollari (circa il 14% del totale detenuto dal Canada), passando da 426 a 368 miliardi. Le partecipazioni cinesi in Treasury USA sono scese al livello più basso dal 2009, mentre quelle del Belgio – spesso considerate un indicatore implicito delle partecipazioni offshore cinesi – sono invece aumentate. Anche Giappone e Regno Unito hanno incrementato le proprie partecipazioni, diventando così i principali creditori degli Stati Uniti.
Secondo i dati, si sono registrati anche spostamenti di capitale lontano dal mercato azionario statunitense, mentre si sono osservati acquisti netti di obbligazioni societarie americane. Un’analisi più approfondita rivela tuttavia che i flussi di capitale non sono così uniformi come potrebbero sembrare.
È importante mantenere una visione d’insieme. “La svendita del dollaro USA e dei Treasury da parte degli investitori esteri appare fortemente esagerata alla luce dei dati TIC e degli acquisti che, dall’inizio dell’anno, superano i 400 miliardi di dollari”, afferma George Catrambone, Head of Fixed Income Americas presso DWS.
A nostro avviso, sarà possibile trarre conclusioni fondate sull’effettiva entità e rilevanza dei deflussi dagli asset statunitensi solo dopo la pubblicazione dei dati TIC relativi a maggio e giugno.
Considerando le sfide fiscali legate al “One Big Beautiful Bill Act” del Presidente Trump e le crescenti preoccupazioni sul deficit, è ragionevole ipotizzare un possibile aumento delle vendite. Resta però da capire se ciò rappresenterà davvero l’inizio di un trend ribassista duraturo nelle partecipazioni estere di asset statunitensi – una questione ben più complessa.

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