L’effetto Trump sul mercato è finito? – di Christophe Morel, Capo Economista di Groupama AM
Sostenibilità del debito pubblico: una problematica europea o americana?
Da molto tempo riteniamo che il problema della sostenibilità del debito pubblico sia molto più marcato negli Stati Uniti che in Europa. Negli Stati Uniti, infatti, non solo la traiettoria dell’indebitamento pubblico è inevitabilmente crescente, ma il Paese soffre anche di una carenza di risparmio, il che pone una difficoltà per il rifinanziamento. Siamo convinti da tempo che questo rappresenti il problema numero uno negli Stati Uniti.
All’inizio di aprile, nel momento di massima tensione legato alla guerra commerciale, i mercati finanziari hanno lanciato un segnale d’allarme: il CDS USA è aumentato bruscamente e si sono osservate giornate in cui simultaneamente le azioni e il dollaro scendevano mentre i tassi a lungo termine salivano. Tipicamente, questi sono segnali di allerta quando i mercati iniziano a interrogarsi sulla solidità delle finanze pubbliche.
Qual è il senso dell’attuale politica economica negli Stati Uniti?
In quel momento abbiamo assistito a un cambiamento di rotta nella governance economica. È evidente che il Segretario al Tesoro, Scott Bessent, abbia “ripreso in mano la situazione”. Da lì in avanti, tutta l’architettura della politica economica statunitense può essere interpretata alla luce di una presa di coscienza, da parte dell’amministrazione americana, del problema delle finanze pubbliche.
Tutte le nuove misure di politica economica hanno in comune l’obiettivo di favorire il rifinanziamento del debito pubblico:
La politica commerciale, con l’aumento dei dazi doganali, può essere vista come una nuova “fonte” di entrate fiscali; La deregolamentazione bancaria offre maggiore margine di manovra alle banche per l’acquisto di debito pubblico; La regolamentazione sui stablecoin (Genius Act) obbliga gli emittenti a costituire riserve in titoli del Tesoro.
Infine, è previsto un “piano” per la gestione del debito: il Tesoro intende ridurre la duration del debito (attualmente pari a 5 anni) per ancorare maggiormente il costo di rifinanziamento ai tassi a breve. Evidentemente, una strategia del genere ha senso solo se la Fed continua a ridurre i tassi ufficiali. Si comprende così la pressione esercitata sulla Fed affinché tagli ulteriormente i tassi. Questo implica che la Fed integrerà ormai nella sua funzione di reazione anche la “stabilità di bilancio”.
Dunque, una buona o una cattiva notizia?
Cattiva notizia: esiste un problema di finanze pubbliche negli Stati Uniti. Ma preferiamo sottolineare la buona notizia: l’amministrazione Trump ha identificato il problema (il che è sempre più rassicurante che “nascondere la polvere sotto il tappeto”) e lo sta affrontando. Inevitabilmente, trattandosi di un problema non convenzionale, anche le soluzioni saranno non convenzionali. In particolare, ciò porterà a una politica monetaria “asservita” a quella di bilancio.
È lecito chiedersi se questa riduzione dell’indipendenza della Fed e questo movimento di “repressione finanziaria”, volto a contenere il costo del debito, non rischi di essere inflazionistico e complicare il compito della Fed. È possibile. Per questo resteremo pragmatici, verificando che le aspettative d’inflazione nel medio-lungo periodo non si disancorino.
Ma per i mercati finanziari, è sempre meglio affrontare il problema principale, anche a costo di effetti collaterali, piuttosto che non affrontarlo affatto.

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Mente e denaro
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