Azionario asiatico, non tutta la volatilità vien per nuocere

Christopher Chu -
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Il nuovo presidente della Federal Reserve Jerome Powell ha avuto un inizio difficile. Egli ha assunto il suo incarico a seguito di un report sui posti di lavoro più solido del previsto, che ha portato molti a chiedersi se non solo la Fed, ma anche altre importanti banche centrali avrebbero dovuto inasprire più rapidamente le loro politiche monetarie.

I principali mercati sia negli Stati Uniti che in tutto il mondo sono poi scivolati durante la prima settimana di Powell, cancellando i guadagni realizzati nel 2018.

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La correzione è stata giustificata a nostro avviso, dato che il rally non aveva subito un calo significativo giornaliero per parecchio tempo. Eliminare l’atteggiamento eccessivamente sicuro di sé e aumentare un po’ di rischio è positivo a lungo termine, in particolare per i gestori attivi, come dimostra la concentrazione all’interno dei settori e dei titoli nella fase di sell-off. In questo contesto, le azioni asiatiche rimangono ancora interessanti, date le proiezioni di utile ragionevoli e le valutazioni scontate rispetto ai mercati sviluppati, nonché la diversificazione geografica, spesso dimenticata tra gli investitori. Ciò è più accentuato nei mercati del Sud-Est asiatico che, nonostante il +26,3% dei rendimenti dell’indice MSCI ASEAN nel 2017, hanno sottoperformato offuscati dal +38,7% dell’indice MSCI Asia ex Giappone, trainato principalmente da azioni cinesi.

Dato l’aumento della domanda interna e la diversificazione settoriale, l’Asia dovrebbe dimostrarsi relativamente resiliente se la volatilità dovesse rimanere a margine. Ma mentre le più grandi economie dell’Asia hanno recentemente seguito gli indici mondiali al ribasso e hanno quindi cancellato i propri guadagni da inizio anno, i paesi dell’ASEAN sono rimasti in territorio positivo. Le storiche lotte di questi paesi contro l’aumento dei tassi d’ interesse statunitensi e il rafforzamento del dollaro USA sono venute meno a causa della maturazione dei mercati del debito locale, che evita i disallineamenti valutari delle attività e delle passività che hanno aggravato la crisi finanziaria asiatica del 1997.

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I paesi dell’ASEAN hanno mantenuto tassi reali positivi per diversi anni, in quanto l’apprezzamento delle valute in questo periodo le rende oggi in grado di assorbire un improvviso rally del dollaro USA nel caso di una crescita ciclica sorprendentemente positiva. Gran parte delle munizioni economiche degli ASEAN deriva da precedenti pressioni deflazionistiche globali, in quanto una curva anelastica dell’offerta ha permesso ai consumatori di assorbire prezzi dei fattori di produzione più bassi, che sono diventati essenzialmente un trasferimento di reddito alle famiglie. A nostro avviso, un aumento improvviso del petrolio rappresenterebbe il rischio maggiore per questi paesi piuttosto che un errore di calcolo di politica monetaria.

L’ASEAN integra la nostra visione costruttiva sulle azioni asiatiche, in quanto la volatilità potrebbe metter fine alla sottoperformance dei mercati del Sud-Est asiatico rispetto ai propri peer nella regione. Con il ritorno del rischio a metà mese, gli investitori hanno utilizzato la correzione del mercato per recuperare su chi ha sovraperformato nel 2017, una risposta pratica, poiché la crescita globale sincronizzata rimane evidente nel ciclo attuale. In definitiva, una ripresa dell’inflazione serve come meccanismo di trasmissione che converte livelli di sentiment e di fiducia elevati in un nuovo ciclo di spese in conto capitale, prolungando l’ottimismo del nostro outlook. L’affermazione di Powell secondo cui sarebbe aperto a quattro rialzi dei tassi d’interesse statunitensi per quest’anno, rispetto ai tre del suo predecessore, suggerisce che la volatilità sta diventando una variabile significativa.


 Christopher Chu – Fund Manager, Asian equities – Union Bancaire Privée (UBP)