Inflazione USA in calo, ma non è oro tutto ciò che luccica

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Archiviate le tensioni in Francia (ma il paese rimane sotto osservazione), si guarda a dati macro (più deboli) e attese di tagli delle banche centrali

Dopo le prime tensioni sui mercati europei in seguito all’annuncio di elezioni legislative anticipate in Francia, la seconda metà di giugno ha visto la preoccupazione rimanere elevata in attesa del primo turno del 30 giugno. Lo spread OAT-Bund si è confermato sopra quota 80 punti base, quello sui BTP italiani ha sfiorato quota 160, mentre l’azionario dell’Eurozona ha chiuso il mese in calo di oltre 2 punti percentuali, un gap notevole se confrontato con il +4,8% (in euro) segnato dall’indice statunitense S&P 500.

L’assenza di una maggioranza, o meglio, l’impossibilità dei partiti di estrema sinistra ed estrema destra a formare un governo di maggioranza, sono stati accolti con favore dai mercati.

Lo spread OAT-Bund è sceso di 15 punti base a quota 65, mentre il differenziale BTP-Bund è calato di ben 30 punti base, sotto i 130 punti base, scendendo così addirittura sotto i livelli pre-elezioni europee. Anche gli spread del credito sono scesi, tornando ai livelli pre-elezioni, nella maggioranza dei casi.

Nel mercati azionari abbiamo visto una ripresa, sebbene meno marcata e concentrata in alcuni settori, su tutti ottime performances delle banche. Tuttavia, bisogna notare che gli attivi francesi hanno e continuano a sottoperformare in questa fase di recupero. Gli spread dei bond delle banche francesi sono ancora un 5-10% sopra i livelli di inizio giugno, mentre le quotazioni azionarie delle stesse sono circa 7-8 punti percentuali in perdita. Ciò fa pensare ad una corretta preoccupazione degli investitori sul tema Francia: la mancanza di un governo stabile non potrà che rendere più difficile l’approvazione di misure chiave, anche in termini di risanamento dei conti pubblici.

USA

A livello politico, assistiamo chiaramente a una situazione di forte incertezza che potrà influenzare significativamente i mercati finanziari.

Dal punto di vista dei fondamentali, il tema importante di queste ultime settimane è il progressivo peggioramento degli indicatori economici negli Stati Uniti. L’indice delle sorprese economiche ha continuato a deteriorarsi, e anche i dati sul mercato del lavoro mostrano un aumento, seppur graduale, del tasso di disoccupazione negli ultimi mesi. Accanto a questo, i dati di inflazione sotto le attese hanno ridato fiato alle aspettative sui tagli dei tassi da parte della Fed, con il mercato che vede ora quasi tre tagli entro fine 2024.

Lo scenario macro a riguardo rimane molto incerto: il prossimo meeting della Fed è previsto a fine luglio e una decisione di un primo taglio in questa data sembra improbabile. Il meeting successivo sarà il 18 settembre, già molto vicino alla data delle elezioni presidenziali del 5 novembre e la pressione politica sulla Fed per non tagliare i tassi e favorire potenzialmente l’amministrazione Biden è forte.

Proprio il candidato repubblicano Donald Trump, in una recente intervista a Bloomberg, ha avvertito l’attuale presidente della Fed, Jerome Powell, di non tagliare i tassi prima del voto. Detto questo, i prossimi dati su inflazione e mercato del lavoro saranno particolarmente importanti per capire l’effettiva possibilità della Fed di procedere al tanto atteso primo taglio dei tassi.

Peggiora il quadro per gli Stati Uniti, Europa sempre debole

Guardando i dati sulla crescita, gli ultimi dati hanno in generale sorpreso al ribasso, deludendo le aspettative degli analisti. L’indice delle sorprese macroeconomiche per gli Stati Uniti è sceso ulteriormente, toccando il livello più basso degli ultimi due anni. Allo stesso modo, l’equivalente indice per l’Eurozona è sceso in territorio negativo da metà giugno, raggiungendo i minimi da inizio anno.

Per il momento, questo deterioramento dei dati non si è tradotto in variazioni significative nelle stime di crescita ; negli Stati Uniti, la crescita prevista per il PIL reale nel 2024 è stata rivista dal +2,4% di un mese fa all’attuale +2,3%, mentre rimane invariata la stima per il 2025 (+1,8%). Nell’Eurozona, le variazioni sono nulle per entrambi i periodi, con una crescita del +0,7% nel 2024 e +1,4% nel 2025.

Guardando i dati a più alta frequenza, vediamo dagli indici di fiducia l’indebolimento del quadro macroeconomico. L’indice ISM Manufacturing negli Stati Uniti è sceso da 48,7 a 48,5, contro un valore atteso di 49,1. Molto più netto il peggioramento nel settore dei servizi, con l’indice ISM Services sceso da 53,8 a 48,8, il valore più basso dai lockdown per Covid nella primavera 2020. Parimenti, l’indice della University of Michigan sulla fiducia dei consumatori ha deluso le attese di oltre due punti, ai minimi da novembre 2023.

I dati macro  più osservati sono quelli del mercato del lavoro : a giugno i posti di lavoro creati nel settore privato sono stati solo 136mila e i dati precedenti sono stati rivisti al ribasso. Il tasso di disoccupazione è salito dal 4,0% al 4,1%, il valore più alto da novembre 2021. Anche i salari hanno segnato una frenata, con una crescita in calo dal +4,1% al 3,9% su base annua.

Quello che si evince è un quadro di progressivo deterioramento di tutte le principali metriche del mercato del lavoro, dove siamo ancora in una fase iniziale, ma la storia insegna che è piuttosto raro evitare una recessione dopo un aumento di 5-7 decimi del tasso di disoccupazione dai minimi ciclici, e al momento siamo attorno a questi livelli.

Anche per quanto riguarda l’economia europea i segnali non sono brillanti : dopo alcuni mesi di dati che puntavano ad una ripresa dell’attività economica, vediamo ora segnali più incerti.

I dati riferiti al mese di maggio su produzione industriale e vendite al dettaglio hanno deluso le attese ed anche alcuni indicatori di fiducia delle imprese (ZEW Survey, indice IFO in Germania) hanno segnato un calo. Guardando agli indici PMI dell’Eurozona, l’indice PMI Composito scende da 52,2 a maggio a 50,9 a giugno, con un calo sia nei servizi (da 53,2 a 52,8) sia nel settore manifatturiero (da 47,3 a 45,8). Va un po’ meglio per i consumatori, con l’indice di fiducia in ulteriore lieve ripresa, in larga parte grazie al rallentamento dell’inflazione negli ultimi mesi e il livello molto basso della disoccupazione (al 6,4%, il livello più basso dall’introduzione dell’euro).

Nel corso delle prossime settimane sarà importante capire l’effettiva entità del rallentamento negli Stati Uniti , dove  Il livello di supporto fiscale rimane ancora elevato, e questo riduce sensibilmente il rischio di una recessione, ma è bene monitorare le aree più fragili e sensibili all’aumento dei tassi di interesse, su tutti il credito al consumo e il settore immobiliare.

In Europa, l’attenzione è sull’impatto dell’incertezza politica in Francia sull’economia del paese, nonché sull’entità dei piani di aggiustamento fiscale (su tutti in Italia e Francia) previsti dal nuovo patto di stabilità.

Inflazione USA in calo, ma non è oro tutto ciò che luccica

Passiamo ora ai numeri di inflazione. L’ultimo report pubblicato negli Stati Uniti circa l’inflazione di giugno ha senza dubbio sorpreso al ribasso, alimentando le aspettative di taglio dei tassi da parte della Fed e spingendo al ribasso i rendimenti di mercato. Ma guardiamo i numeri. L’inflazione complessiva negli USA è passata dal +3,3% di maggio al +3,0% a giugno, un decimo sotto le attese. Similmente, l’inflazione core ha sorpreso al ribasso di un decimo, scendendo dal precedente +3,4% a +3,3% in giugno.

Come spesso si dice, non è però tutto oro quel che luccica.

Guardando al dettaglio dei numeri, vediamo che il calo dell’inflazione core è stato guidato da fattori volatili (come il costo dei servizi di trasporto), mentre la parte che riguarda i servizi core non volatili ha segnato un’accelerazione, passando dal +4,5% al +4,7% su base annua. Va inoltre sottolineato che il dato pubblicato il giorno seguente sui costi di produzione (solitamente un indicatore anticipatore dell’inflazione al consumo) ha sorpreso al rialzo: la sua componente core segna, infatti, un +3,0% rispetto al +2,5% precedente.

Tutto questo  suggerisce che una parte importante dell’inflazione al consumo potrebbe tornare ad accelerare nei prossimi mesi: stiamo parlando, in particolare, dei cosiddetti beni core non volatili, che sono maggiormente esposti ai costi (nuovamente in crescita) legati al commercio internazionale e alle varie materie prime usate nel processo di produzione.

Se questo avvenisse ,  bisognerà valutare l’impatto di una probabile ri-accelerazione di questa componente e vedere se la pressione al ribasso che deriva dal graduale aumento della disoccupazione sarà sufficiente a garantire una continuazione del calo dell’inflazione verso il target del 2%.

Nell’Eurozona non ci sono state, invece, grosse sorprese. L’inflazione complessiva a giugno ha segnato un lieve calo dal +2,6% precedente all’attuale +2,5%, mentre l’inflazione core è rimasta ferma al +2,9%. Come per gli Stati Uniti, va però sottolineato come l’inflazione dei servizi rimanga elevata (stabile al +4,1%), soprattutto a causa di una dinamica salariale sostenuta grazie ai livelli contenuti di disoccupazione.

Per quanto riguarda le stime degli analisti, non si registrano cambiamenti significativi rispetto ad un mese fa. La previsione per l’inflazione media nell’Eurozona nel 2024 è ferma al +2,4%, mentre quella per il 2025 rimane al +2,1%. Calo marginale per l’inflazione statunitense per quest’anno, con la stima che scende da +3,2% a +3,1%, mentre è invariata la stima per il 2025 (+2,4%).

Guardando ai mesi a venire, l’attenzione rimarrà sull’effettiva discesa dell’inflazione core dei servizi, che rimane ancora elevata negli Stati Uniti e nell’Eurozona, così come in altre geografie come il Regno Unito. Negli Stati Uniti, il graduale rialzo della disoccupazione e la moderazione nel tasso di crescita dei salari dovrebbero aiutare già nei prossimi mesi, mentre nell’Eurozona questo potrebbe richiedere più tempo.

Come rischi principali vediamo un possibile impatto sui prezzi dei beni core al consumo, data la ripresa delle pressioni al rialzo a monte, sul lato produzione. Infine, l’incognita principale non solo per questa seconda metà del 2024 ma soprattutto per il 2025 è rappresentata dall’eventuale introduzione di nuovi dazi da parte degli Stati Uniti, non solo contro la Cina ma anche verso l’Europa, in caso di vittoria di Trump alle elezioni di novembre.

Le politiche monetarie: salgono le aspettative di tagli dei tassi per la Fed

Passiamo ora alle banche centrali. Come già accennato prima, i dati macroeconomici più deboli, specie negli Stati Uniti, e il rallentamento dell’inflazione – pur con tutte le note a margine che ci siamo appena detti – hanno alimentato nuovamente le aspettative di tagli dei tassi di politica monetaria da qui a fine anno. Nello specifico, il mercato ora sconta 65 punti base di tagli da parte della Fed entro fine anno, con un primo taglio dello 0,25% già a settembre. Un mese fa, la stima per fine anno era di tagli per 48 punti base.

Per quanto riguarda la BCE, le variazioni sono più contenute. Dopo il primo taglio dei tassi a giugno, gli analisti vedono ora un secondo possibile taglio tra settembre e ottobre, seguito da una probabile terza riduzione nel mese di dicembre. In totale, il mercato vede 47 punti base di tagli, non lontano dalla stima di 43 punti base del mese scorso. Sulla BCE pesano due tipi di incertezze: la già citata persistenza dell’inflazione dei servizi e il quadro problematico della politica francese, che rischia di portare a uno stallo sul necessario aggiustamento fiscale del paese.

Guardando ai prossimi mesi, gli indicatori da tenere sotto osservazione rimangono gli stessi: andamento del mercato del lavoro, andamento dell’inflazione dei servizi, retorica e/o nuove informazioni sulle modalità di nuovi dazi in caso di vittoria di Trump alle presidenziali USA.

Dal punto di vista della liquidità, invece, non ci aspettiamo grosse novità: dopo il rallentamento del ritmo di riduzione del bilancio della Fed (da 100 a circa 50-60 miliardi al mese), i rischi legati alla diminuzione della liquidità in eccesso sono meno marcati, sebbene permanga una certa apprensione visto il gap molto largo tra le valutazioni del mercato azionario USA e il livello in calo della liquidità stessa.

I mercati finanziari e le prospettive

Come già anticipato, i BTP hanno recuperato tutto il terreno perso, con lo spread nuovamente intorno ai 130 punti base e il tasso decennale al 3,7%, non lontano dai minimi dell’anno (3,6% a marzo).

Nel credito, gli spread del comparto Investment Grade europeo sono pressoché tornati ai livelli pre-allargamento (con l’eccezione delle banche francesi, ). Il recupero risulta, invece, parziale nel segmento High Yield, specie nella parte più rischiosa (i titoli con rating CCC, detti anche distressed), peraltro non di particolare rilevanza della nostra allocazione standard.

Nel comparto azionario, dopo i risultati delle elezioni francesi abbiamo visto un recupero del comparto europeo, in particolare delle banche e  quelle italiane. Guardando agli ultimissimi giorni, va poi sottolineata una forte rotazione settoriale azionaria negli Stati Uniti. La prospettiva di una vittoria di Trump – le cui quotazioni sono ulteriormente salite dopo il fallito tentato omicidio ai suoi danni – hanno riportando alla ribalta il rischio di forti restrizioni nel commercio di chip e semiconduttori. I produttori americani (così come quelli europei) potrebbero dover confrontarsi con dazi più alti (o perfino sanzioni) in caso di vendita di chip alla Cina, mercato assai fiorente per i principali big del settore come ASML in Europa o Nvidia negli Stati Uniti. Tale prospettiva ha comportato forti perdite nel comparto tecnologico, favorendo una fortissima rotazione verso settori fin qui in difficoltà, nonché verso le small cap. L’indice Russell 2000 (l’indice delle società americane a minore capitalizzazione) ha segnato, in pochi giorni, un guadagno relativo a doppia cifra rispetto all’indice Nasdaq . Per la sua rapidità (appena una settimana), si tratta del movimento più ampio in questo senso dallo scoppio della bolla DotCom ad inizio anni 2000. Il ritiro di Biden dalla competizione elettorale e la probabile designazione di Harris hanno portato ulteriore incertezze sui mercati azionari, e non solo, con una nuova fase di rotazione settoriale e un parziale recupero della tecnologia. Verosimilmente l’incertezza e la volatilità  sul lato azionario persisterà nei prossimi mesi, sia per le tematiche politiche aperte in Europa e negli USA, sia per elementi fondamentali,  dati i livelli elevati delle valutazioni negli Stati Uniti e l’estrema concentrazione delle performance in un numero limitato di titoli negli ultimi mesi. Come abbiamo visto negli ultimi giorni, le elezioni presidenziali statunitensi possono avere un potenziale impatto molto forte sulle dinamiche settoriali e dato il suo peso nell’indice, una correzione più marcata del comparto tecnologico americano difficilmente potrebbe avvenire in assenza di una correzione di mercato. Sembra quindi preferibile  avere un atteggiamento più prudente sull’azionario statunitense e di cercare altre opportunità in altre aree come quella cinese o asiatica.

In campo obbligazionario, le performance degli ultimi due mesi sono state finalmente positive. Riteniamo in generale che questa classe di attivi presenti rischi minori in termini di potenziali perdite, dati i livelli comunque elevati dei tassi reali. Inoltre, un peggioramento più marcato delle dinamiche di crescita negli Stati Uniti, nonché un calo dell’inflazione e conseguenti tagli da parte delle banche centrali potrebbero ulteriormente sostenere le performance. Infine, data la minore liquidità del periodo estivo, riteniamo opportuno insistere sulle strategie di carry, pur consapevoli del livello più contenuto degli spread.

Riassumendo:

Per i bond governativi, conferiamo un atteggiamento costruttivo nel medio termine. Nel breve termine preferiamo i tassi del complesso europeo, in particolare Bund tedeschi , BTP italiani e Bonos spagnoli. Questi ultimi due sembrano offrire una migliore combinazione in termini di spread rispetto ai titoli di stati francesi, sui quali non escludiamo nuovi allargamenti in caso di mancati progressi in ambito fiscale. Sugli Stati Uniti abbiamo un approccio positivo sulla curva dei tassi  e anzi  consideriamo un eventuale rialzo del rendimento decennale in area 4,3%-4,4% come un possibile punto di accumulazione per il medio termine.
Per quanto concerne il mondo del  credito corporate , manteniamo una posizione costruttiva soprattutto in Europa dove la parte breve delle curve credito Investment Grade offre spread interessanti per il profilo limitato di duration. Inoltre, consideriamo interessante anche il mercato High Yield europeo, essendo al momento l’unica classe di attivi europei che offre un rendimento superiore al rendimento del cash .
Sui paesi emergenti si nota una incrementata volatilità , ma rimangono opportunità interessanti in termini di bond in valuta locale, grazie ai tassi reali elevati in paesi come Brasile, Messico e Sudafrica, e in misura minore in Polonia. Va  ricordata tuttavia  la necessità di un atteggiamento più prudente sul rischio di cambio valutario alla luce dei  maggiori rischi geopolitici, inclusa un’eventuale vittoria di Trump e un nuovo round di dazi che colpirebbe le esportazioni di questi paesi, anche indirettamente.
Infine, sull’azionario l’atteggiamento diventa più prudente sul comparto statunitense. Dopo le forti performance della prima metà dell’anno, peraltro concentrate in un numero limitato di titoli, crediamo che le valutazioni siano diventate care rispetto ad altri paesi e inoltre, la prospettiva di dazi più elevati sotto una seconda amministrazione Trump preoccupa gli analisti, in quanto verrebbe colpito il settore tecnologico, finora il chiaro leader e traino delle performance di mercato. In Europa manteniamo un atteggiamento costruttivo,  preferendo però il comparto azionario ex Eurozona, ossia Regno Unito e Svizzera. Il Regno Unito potrebbe beneficiare della nuova, solida maggioranza del Labour Party che dovrebbe garantire una più facile approvazione di riforme.